Novant’anni da signore del vino
L’incontro L’amore per Firenze, la passione per il vino, le sfide dell’azienda di famiglia Vittorio Frescobaldi si racconta e guarda al futuro: sono ottimista, anche le crisi servono
«Mi hanno fatto andare in ufficio, a Pontassieve, “bisogna che lei firmi delle carte” e quando sono arrivato tutti gli addetti assieme, un centinaio, mi hanno fatto a sorpresa gli auguri e mi hanno regalato una targa per dimostrare il loro affetto. È stato davvero un inizio bello della giornata di compleanno». Vittorio Frescobaldi è nato il 30 novembre del 1928 e venerdì ha tagliato il traguardo dei novanta anni.
Il marchese Vittorio, fisico mancato, ha traghettato quella che era un’azienda familiare, che all’inizio degli anni Sessanta vendeva 50.000 bottiglie, verso il colosso che oggi fattura oltre cento milioni e commercia oltre 11 milioni di bottiglie, passando anche per momenti difficili «quando ho dovuto ipotecare palazzi e tenute». La sua è l’avventura di un imprenditore fiorentino, innamorato della sua città e del mondo agricolo, erede di famiglia che da 700 anni produce vino e da più di mille anni è legata alla Toscana.
«Sono entrato in azienda subito dopo la laurea in Agraria, io avrei voluto fare Fisica, ma mio padre mi convinse che per il futuro dell’azienda era meglio l’altra disciplina, e ho visto l’evoluzione dell’agricoltura e della società: siamo passati da un’Italia che aveva fame e poco da mangiare, con famiglie che vivevano con le rimesse dei nostri emigranti, ad oggi che tutti vogliono venire qui e siamo già alla quarta rivoluzione industriale...». Nel 1953, dopo aver fatto il giro dei poderi in Topolino, Vittorio fece per suo padre Lamberto una relazione sulle tenute e su come si trovavano ed erano condotte; nel 1959, alla morte di Lamberto, già sposato da un anno con Bona Marchi, ebbe sulle sue spalle la responsabilità di guidare l’azienda che allora produceva più grano e latte che vino.
«Con l’aiuto ed il contributo dei miei fratelli, Ferdinando e Leonardo abbiamo investito sempre di più sulla viticoltura, consapevoli che il vino buono si fa solo in una vigna buona e che è la vigna il silenzioso autore del vino. La chiave di volta per il futuro, ieri come adesso, è dare al tuo prodotto identità e valore aggiunto, comunicando queste caratteristiche: se fare qualità è difficile, comunicare la qualità è ancora più difficile. Siamo cresciuti tanto, ma non siamo un’industria — sottolinea il marchese — Siamo un’azienda che fa agricoltura aggiornata».
Nel palazzo di via Santo Spirito, con il giardino che confina con la basilica cui sono legatissimi (della prima chiesa nel 1300 i Frescobaldi avevano il patronato dell’altare maggiore e in quella attuale hanno una cappella e ancora oggi una porta dal loro giardino conduce al monastero degli Agostiniani ed i marchesi ne hanno la chiave), assieme ai quadri degli antenati ci sono le pergamene dei tanti riconoscimenti ottenuti dai vini. E, guardandosi indietro il presidente onorario della Compagnia de’ Frescobaldi, la holding di famiglia, ricorda il suo 1968, ben diverso da quello di molti altri. «Abbiamo sempre puntato sulla qualità, ma quello fu l’anno della svolta, di grande impegno e lavoro: realizzammo quella che tutti consideravano un’impresa impossibile cioè 250 ettari di nuovi vitigni in due anni, tempo fissato dal Mec per non perdere gli aiuti che ci avevano concesso. Ce la facemmo in 23 mesi ed iniziò così l’era dell’agricoltura meccanizzata. Poi arrivò la nostra prima cantina “moderna”, l’acquisizione a Montalcino di Castelgiocondo, la joint venture per Luce, l’acquisizione di Ornellaia... Nel 2007, avevo già 78 anni, ho dato le dimissioni da presidente: il mio ruolo a quel punto era organizzare la continuità e la successione».
Il passaggio generazionale si è svolto senza scosse, anzi: oggi Lamberto (figlio di Vittorio e Bona) è presidente della holding di famiglia, Stefano direttore commerciale, Tiziana dirige «Artisti per Frescobaldi», Matteo il marketing, Diana presiede la società che gestisce i ristoranti, con i nipoti che lavorano già in azienda: «Ma solo se lo meritano, non per il cognome; servono competenze e visione globale in un mercato globale. Occorrono amministratori bravi, anche se esterni: se vuoi giocare nel campetto parrocchiale puoi fare da solo, per la serie A servono i campioni».
Vittorio ed i Frescobaldi hanno vissuto la guerra, come gli altri fiorentini furono sfollati dai tedeschi per far saltare i ponti sull’Arno nell’agosto 1944 e il castello di Nipozzano fu quasi completamente raso al suolo dalle mine naziste, e l’alluvione — «lavoravo in ufficio alla luce delle candele, tutta la città era senza elettricità» —, alla fine della mezzadria, che «sbloccò» la possibilità di fare migliorie su larga scala. E alla grande passione per il vino e la natura — «la Toscana è bellezza, genuinità, cultura; tutti dobbiamo tutelarla» — il marchese unisce quella per la sua città. «Oggi subiamo l’invasione del turismo che genera ricchezza ma ha un forte impatto, il boom degli Airbnb, che evidentemente coprono una domanda che era inespressa ma alza i prezzi delle case. A Firenze si vive bene, è amministrata bene, considerando i limiti di ciò che può fare un sindaco, Santo Spirito è ancora un quartiere, come in passato, ma servono un aeroporto all’altezza della città, parcheggi per i residenti, sostegno agli imprenditori».
Preoccupato per il futuro della città? «No. Subiamo fenomeni comuni in tutto il mondo, come i luoghi dove ci si ubriaca o si spaccia: mi preoccupa piuttosto il voto alle Europee. I nostri sovranisti vogliono allentare i legami con l’Europa e invece vanno rafforzati, anche per lo sviluppo. Non è facile generare posti di lavoro, ma è fondamentale per dare un futuro alle persone, stabilità alle famiglie: le autorità, la politica devono aiutare gli imprenditori, l’assistenzialismo non va bene».
E cosa vede nei prossimi novanta anni suoi, di Firenze e del Paese? «Prima mi lasci ringraziare la famiglia, che mi ha sempre appoggiato ed ha avuto piena fiducia in me, i nostri tanti collaboratori, del passato e attuali. Sono ottimista — sorride Vittorio Frescobaldi — L’azienda è unita, resta dei Frescobaldi, e ci sono tante imprese di eccellenza a Firenze e non solo. Ogni crisi apre nuove opportunità e con competenza e forza di carattere si possono cogliere».
Analisi
I nostri sovranisti vogliono allentare i legami con l’Europa e invece vanno rafforzati E la politica deve aiutare gli imprenditori