Corriere Fiorentino

Nella casetta di Tiina, dodici giorni senza cibo e senza privacy

Edoardo Albinati, «il pensiero infame» sui migranti e il ruolo dello scrittore militante Oggi dialogo e letture con Sandro Veronesi su rigurgiti razzisti e una stagione di pensieri a briglia sciolta

- Di Chiara Dino

«Scavare nello sporco». È questo che uno scrittore «deve fare», sostiene Edoardo Albinati. Anche e soprattutt­o nella propria parte oscura fatta di rancore e insofferen­za, alla ricerca dei demoni che abitano tra i sentimenti. Per poi cercare di capire i demoni degli altri. Albinati e Sandro Veronesi sono due romanzieri (diventati) militanti in questi tempi in cui l’odio e il razzismo non sono più concetti filosofici su cui confrontar­si, ma oggetto quotidiano di dibattito, materia politica vivente. Il primo ha scritto un pamphlet di autoaccusa: Cronistori­a di un pensiero infame (Baldini & Castoldi). L’altro un libretto-campanello d’allarme: Cani d’estate (La nave di Teseo). Entrambi nati sull’onda dei casi delle navi Aquarius e Diciotti, l’odissea dei migranti e le reazioni sui social network tra sentimenti di odio e rigurgiti razzisti. I due premi Strega saranno a confronto oggi alle 18.30 al Caffè Letterario delle Murate: «Letture sull’odio», penultimo appuntamen­to della serie «mur°arte Identities», coordinati da Stefania Costa.

Il «pensiero infame» di cui Albinati parla è il suo. Quello che espresse il 12 giugno di fronte alla chiusura dei porti voluta dal ministro degli Interni Matteo Salvini che portò i 629 migranti della nave Aquarius a virare verso Valencia. La sua frase fece parlare mezza Italia: «Sono arrivato a desiderare che morisse un bambino sull’Aquarius». Detta — paradossal­mente — per scatenare una reazione. «Non voglio difendermi. Non sono difendibil­e. Quello che ho pensato è indifendib­ile». Inizia così il suo libro, per sgombrare i dubbi. Infatti lo scopo della sua indagine non è giustifica­rsi. Ma scandaglia­re l’animo umano alla ricerca delle cause che lo hanno prodotto, il pensiero inquello fame. Il suo e tanti altri a partire dal «buon appetito ai pesci» urlato via social da tanti che per ostacolare l’immigrazio­ne auspicavan­o la morte di chi sulle navi della speranza viaggia ogni giorno.

«Non so se quello che scrivo sia “efficace”, anzi ne dubito. Faccio il possibile affinché sia giusto. Se una cosa non è vera, la smentisco. Se un fatto è terribile, non lo nascondo» dice Albinati a proposito della coincidenz­a che lega il suo libro e di Veronesi: sia il termine «cani» che «pensiero infame» non sono, come potrebbe sembrare a una prima approssima­zione, riferiti a chi odia. Ma a loro stessi. I cani che abbaiano per dare l’allarme nel caso di Veronesi, l’augurio di morte nel suo. Come se, in un mondo in cui tutti puntano il dito contro gli altri, l’unico modo per far riflettere le persone sia puntarlo contro se stessi. «È un atteggiame­nto personale — aggiunge — Il mio scopo non è la persuasion­e o la propaganda. Guardare cosa cova nel cuore degli altri e nel proprio è il compito di chi scrive». Guardandos­i dentro, la prima cosa che ha visto è che lui non odia. Al massimo prova «disprezzo, superbia e vanità». «L’odio allo stato puro mi è abbastanza estraneo — prosegue l’autore de La scuola cattolica — Diceva Karl Kraus che “l’odio dev’essere produttivo, altrimenti, tanto vale amare”. E io col mio odio non saprei cosa farci. Non mi dà alcun godimento odiare, semmai mi indebolisc­e. Anche le ondate di odio collettivo che si sollevano su internet sono ripetizion­i morbose dei medesimi slogan». Il secondo passaggio è capire da dove nascono i sentimenti dominanti di questa nuova stagione di pensieri a briglia sciolta, senza più pudori. «Nella semplifica­zione di ogni pensiero — risponde — Nel suo azzerament­o. Appena si presenta un problema complesso, si pensa di risolverlo a legnate. Con parole d’ordine. Si pensa così di mettere in ordine le cose, in realtà le si getta nel caos. E la colpa è sempre degli altri, i migranti, l’Europa, i poteri invisibili».

Veronesi ha ideato il gruppo #Corpi: una trentina di intellettu­ali «pronti a mettere il proprio corpo» sulle navi. Ma «la militanza, quando occorre praticarla, è sempre in qualche misura “controvogl­ia” — pensa Albinati — tocca farla quando diventa impossibil­e non farla». Per cui, aggiunge, «sono solidale con le azioni pratiche che vedono impegnate “fisicament­e” le persone. Veronesi poi ci ha buttato dentro anche tutta la sua verve ironica, e questo non guasta in una situazione per ogni altro verso drammatica e vergognosa, come quella dei naufraghi a cui si nega lo sbarco. Ridere della menzogna è molto nobile, fa bene al cuore e al cervello». Cronistori­a di un pensiero infame ha un lato leggibile in chiave ironica. E il senso di sconforto è bilanciato con un po’ di ottimismo della volontà: «Ogni tempo ha le sue fratture, il suo disonore e le sue bellezze. Anche oggi, ad esempio, c’è e ci sarà sempre qualcuno che dà prova di intelligen­za e coraggio. Niente piagnistei, dunque. Il male ha di positivo almeno il fatto di far emergere e contarsi quelli che intendono combatterl­o».

Pensiero indifendib­ile Dissi che desideravo la morte di un bambino sull’Aquarius per scatenare una reazione

Scavare nello sporco Dobbiamo scavare nella nostra parte oscura fatta di rancore per cercare di capire i demoni degli altri

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La trentenne finlandese Tiina Pauliina Lehtimaki davanti alla casa in miniatura e a destra Marina Abramovic
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Edoardo Albinati, autore del pamphlet, «Cronistori­a di un pensiero infame» (Baldini & Castoldi)
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Sandro Veronesi ha da poco dato alle stampe «Cani d’estate. Abbaiare contro il razzismo» (La Nave di Teseo)

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