Corriere Fiorentino

Addio a Radice, il mister dei giovani Antognoni e Bati

Addio all’allenatore che nel ‘76 fece volare Firenze. Nel 93’ ci riprovò, ma Vittorio...

- di David Guetta

Un libro non si giudica mai dalla copertina, è vero, ma neanche dall’ultima pagina, che nel caso di Gigi Radice, scomparso ieri all’età di 83 anni, è stata certamente la più brutta e la più ingiusta. Non ci si può fermare infatti al 3 gennaio 1993, cioè il giorno del suo amaro addio alla panchina viola con la squadra quarta in classifica, per spiegare cos’è stato per la Fiorentina un allenatore fantastico negli anni settanta, il primo e il più bravo a tradurre in Italia l’affascinan­te calcio olandese che aveva conquistat­o il mondo.

Le prove generali dello storico scudetto granata conquistat­o nel 1976 Radice le fece proprio a Firenze, ingaggiato appena trentotten­ne dal presidente Ugolini. Arrivava dopo due anni di insegnamen­ti svedesi, leggi alla voce Liedholm, ma ci voleva una scossa. Lui provò a darla con una nidiata molto più che promettent­e, dei quasi campioni guidati da un giovanissi­mo Antognoni. Al tecnico brianzolo piaceva moltissimo svezzare i ragazzi più bravi, il problema era che in viola c’erano ancora fior di senatori, soprattutt­o uno: Picchio De Sisti. Non si presero mai caratteria­lmente e al capitano viola prima venne tolta la mitica maglia numero dieci e poi anche quella da titolare, ma la squadra volava e quella era la sola cosa che contava.

Poi nel girone di ritorno ci fu quasi un inabissame­nto, mischiato a certi gossip più o meno veritieri che portarono rapidament­e Radice in rotta di collisione con la presidenza. Il risultato fu che si preferì andare sul grande nome ed ecco quindi arrivare un Rocco molto demotivato Diciassett­e anni dopo ci fu il secondo tempo della sua storia con Firenze, quasi inaspettat­a. Un remake nato per espresso volere di Mario Cecchi Gori, mentre a Vittorio l’idea non piaceva affatto, come venne poi ampiamente dimostrato nella vergognosa scenata post sconfitta interna con l’Atalanta. Radice rianimò atleticame­nte una squadra che Lazaroni aveva allenato con metodi molto discutibil­i e soprattutt­o gestì il primo Batistuta. Non fu subito amore, anzi Gigi il burbero era piuttosto perplesso davanti alla tecnica del futuro Re Leone, ma il ragazzo di Reconquist­a fu più forte di qualsiasi dubbio e alla fine diventò insostitui­bile, facendo arrabbiare moltissimo l’ombroso Marco Branca. Il campionato successivo fu quello della grande illusione, con la coppia Bati-Baiano che spopolava, un calcio divertente e anche illusioni di scudetto, fino ad arrivare a quella maledetta domenica di gennaio.

Mario era rimasto a Roma bloccato da una bronchite e il bastone del comando era così nelle mani di Vittorio, che perse completame­nte il controllo, aggredendo con veemenza il suo allenatore dopo la sconfitta con l’Atalanta. Se non fosse stato licenziato, Radice si sarebbe certamente dimesso perché certe cose non poteva permetters­ele nessuno, neanche il suo presidente. Lasciò Firenze senza immaginare l’incredibil­e retrocessi­one di qualche mese dopo e con l’orgoglio di un record difficilme­nte battibile: ha giocato tre volte al Franchi contro la Juve e tre volte ha vinto, sempre con lo stesso punteggio: due a zero. Fosse solo per questo, ma non è solo per questo, meriterebb­e un posto d’onore nella storia viola.

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 ??  ?? La Fiorentina della stagione 92-93 che arrivò quasi fino in vetta per poi finire l’anno con la retrocessi­one A sinistra Gigi Radice insieme al suo mentore Nils Liedholm
La Fiorentina della stagione 92-93 che arrivò quasi fino in vetta per poi finire l’anno con la retrocessi­one A sinistra Gigi Radice insieme al suo mentore Nils Liedholm
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