DIRITTI E ROVESCI
Ricordare la dichiarazione universale dei diritti umani firmata nel 1948, come da ventidue anni fa la Regione Toscana, e farlo con ottomila ragazzi è una cosa importante e meritevole. Diritto alla salute, ad una assistenza minima per poter vivere, all’istruzione e a muoversi nel mondo sono enunciati affermati in quella carta firmata da molti Stati, tra cui l’Italia, settanta anni fa. Un messaggio di umanità che fa della dignità degli esseri umani il cardine di una visione del mondo e della storia. Non possiamo però nasconderci che, per quanto possa apparire nobile, tradurre questi enunciati in una legge regionale — sul presupposto che sanità, assistenza sociale e istruzione siano materie concorrenti, in relazione alle quali non legifera soltanto lo Stato ma possono farlo pure le Regioni — è anche, soprattutto in questo momento, profondamente divisivo. Il presidente della Toscana, Enrico Rossi, che lo ha provocatoriamente o coraggiosamente dichiarato dal palco del Mandela Forum di Firenze e lo ha spiegato ancor meglio a margine, lo sa perfettamente. Del resto annunciare che la giunta regionale proporrà una legge con questi contenuti «prima di Natale» è parte del gioco, quello elettorale in primo luogo. Certo le elezioni regionali sono ancora lontane, si terranno nel 2020, ma i confini politici vanno ritracciati da ora, soprattutto a sinistra. E del resto non è proprio una novità. Era già successo nel 2010.
Perché nel 2010 il presidente toscano Enrico Rossi aveva esultato quando la Corte costituzionale aveva respinto il ricorso del governo Berlusconi contro un’altra iniziativa della Regione Toscana fortemente voluta dall’allora governatore Claudio Martini, quella legge regionale che, nella parte più criticata, assicurava trattamento sanitario e in certi casi sociale ai clandestini.
Tuttavia è quanto meno dubbio che sbandierare questo tema come un vessillo di superiorità morale possa davvero premiare in qualche modo, non soltanto in sede elettorale. Questo è esattamente un punto cruciale che una certa parte della sinistra deve finalmente affrontare. Sappiamo tutti che non esistono pasti gratis come non esistono cure gratis. Continuare a prospettare un welfare esteso oltre la cerchia dei cittadini, come sistema davvero «universale» e senza limiti, che implica un inevitabile ampliamento del ricorso al debito pubblico, rischia di non essere un ragionamento davvero responsabile.
Una cosa è affermare e assicurare il diritto, questo si davvero da riconoscere a tutti gli esseri umani, di un aiuto vitale, altra cosa è estendere a tutti, immigrati regolari e clandestini, contribuenti o meno, quel ventaglio di prerogative che includiamo nel nostro complesso e costoso modello di welfare: sanità, assistenza, istruzione.
Si può certamente discutere di tutto, ma bisogna avere la responsabilità di partire dal considerare quali implicazioni avrebbe una decisione di questo tipo. Per scegliere di farlo, o meno, dobbiamo prima davvero comprendere quanto graverebbe sulle finanze pubbliche e come potrebbe essere finanziato. Responsabilità è partire dalla considerazione delle risorse e delle alternative disponibili, non certo farne una scelta — come avrebbe detto Totò — «a prescindere».