Corriere Fiorentino

Uccise la moglie malata in ospedale I figli: Mattarella grazi nostro padre

Prato, Vitangelo Bini è stato condannato a 6 anni. «Ha protetto le persone che amava»

- Valentina Marotta

PRATO «Presidente Mattarella le presento mio padre, Vitangelo Bini, il sangue e la carne di cui io sono sangue e carne. Ha commesso il più grave dei crimini: ha ucciso mia madre. Per amore ha messo al mondo me e mio fratello e per quello stesso amore ci ha tolto nostra madre. Ed è in nome di questo amore che chiedo la grazia». Con questo appello Angela Bini vuole impedire che il padre finisca i suoi giorni in carcere. La vicenda giudiziari­a di Vitangelo Bini, 89 anni, vigile urbano in pensione, inizia il 1° dicembre 2007, quando uccide con tre colpi di pistola la moglie malata terminale di Alzheimer, all’ospedale di Prato. «Ho ucciso Mara ma non volevo che soffrisse ancora», spiegò l’ex ispettore ai magistrati. Ma nel giugno scorso la Cassazione ha confermato per lui la condanna a 6 anni e mezzo di carcere. «Non ci sono attenuanti per chi uccide un malato per pietà», hanno spiegato gli Ermellini nella motivazion­e. Adesso la figlia chiede la grazia per il padre. «Per lui — racconta Angela — la famiglia ha avuto un’importanza fondamenta­le. Ha protetto le persone che più amava».

Una vita non facile quella di Bini: va in pensione e accudisce, fino alla morte, prima la madre, malata di Parkinson poi la moglie, afflitta da una malattia neurodegen­erativa. All’inizio, Mara dimentica il nome di un amico o di un utensile. Poi la situazione precipita. Per 12 anni, dal 1995 al 2007, Vitangelo assiste Mara. «Mia madre non riusciva più a mangiare autonomame­nte, né a parlare. Mio padre non usciva più di casa se non quando io e mio fratello gli davamo il cambio. Nessuna badante reggeva la fatica». Poi, con lo sfratto dalla casa fiorentina, la coppia si trasferisc­e a Prato, vicino ai figli.

«Il trasloco si rivelò traumatico. Mio padre perse i punti fermi: il suo barbiere, gli incontri con il suo collega, piccole cose, eppure grandi quando sono l’unica àncora contro la sofferenza. Cercò però di mantenere in vita il corpo e la memoria di mia madre. Ad ogni pasto apparecchi­ava per due, pur sapendo che lei non avrebbe potuto afferrare le posate. Ad ogni pasto, lui le parlava, ben sapendo che non avrebbe mi ri- sposto». Accudisce Mara fino all’ultima crisi. «In ospedale, la visione di mia madre che soffriva era straziante — ricorda Angela — Un medico mi disse: potrà durare giorni, settimane o mesi, finché il cuore regge. Lo riferii a mio padre e così forse ho armato la sua mano». Né Angela né il fratello al processo si costituisc­ono parte civile: «Rimasi sconcertat­a quando mi indicarono “parte offesa”: né io né Antonio ci siamo sentiti offesi dal comportame­nto di mio padre. Non certo da lui, ma dalla tremenda malattia che ha colpito la nostra famiglia». E conclude: «La Corte d’assise inflisse a mio padre una pena mite, dimostrand­o di assolverlo moralmente non potendolo fare giuridicam­ente. Il presidente ha il potere di trasformar­e questa assoluzion­e morale in qualcosa di più, evitando che mio padre finisca la sua vita in carcere».

❞ Un calvario lungo 12 anni La figlia: al processo mi indicarono «parte offesa», ma io ero offesa dalla malattia, non da lui

 ??  ?? L’articolo del maggio 2015 in cui Vitangelo Bini raccontò, 8 anni dopo i fatti, l’omicidio della moglie
L’articolo del maggio 2015 in cui Vitangelo Bini raccontò, 8 anni dopo i fatti, l’omicidio della moglie

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