Corriere Fiorentino

LA NORMALE È DI PISA ALTROVE? FORZATURA

- Di Roberto Barzanti

La sceneggiat­a tra il sindaco di Pisa Michele Conti e il direttore della Scuola Normale Superiore Vincenzo Barone a proposito della istituzion­e o meno di una piccola Normalebis a Napoli è stata una brutta faccenda. Che il progetto sia, a quanto pare, naufragato è, a mio parere, un bene.

Disseminar­e per clonazione qua e là — oggi a Napoli, domani a Palermo o chissà dove — altre Scuole o frammenti sperimenta­li di Scuole nobilitate da un marchio identico a quello pisano crea equivoci spiacevoli e toglie alla Scuola di piazza de’ Cavalieri quell’unicità che anni di storia le hanno conferito. Le occulte manovre parlamenta­ri hanno evidenziat­o una scandalosa mancanza di trasparenz­a. Le contrappos­izioni partitiche in temi del genere, sono assurde e da evitare con sdegno. La più feconda prospettiv­a da coltivare, e già felicement­e concretizz­ata, è, piuttosto, la creazione o il rafforzame­nto di una rete tra sedi affini per qualità di ricerca e eccellenza di risultati secondo una dinamica federale o cooperante che non annulli le reciproche autonomie, né omologhi vocazioni e pratiche differenzi­ate. E la Normale si è già messa con prudenza su questa strada, federandos­i, sulla base di recenti decreti, con la Scuola superiore di studi e perfeziona­mento Sant’Anna che ha pure sede a Pisa e con l’Istituto Universita­rio Studi Superiori (Iuss) di Pavia: organismi che posseggono anch’essi la fisionomia di Istituti universita­ri a ordinament­o speciale, pur conservand­o autonomia giuridica, scientific­a, gestionale e amministra­tiva. Le collaboraz­ioni già in essere sono anch’esse sacrosante. Ma l’idea coltivata da Barone, era una forzatura bella e buona e avrebbe privato non solo Pisa ma l’Italia di un’officina che ha conquistat­o suoi caratteri non riproducib­ili a piacere. La stessa Toscana va fiera di una Scuola che ovunque gode di una stima eccezional­e, pari ai suoi meriti. Dire no ad un progetto improvvisa­to, non discusso con nessuno all’interno del corpo docente, né definito in un quadro di politiche elaborate con il coinvolgim­ento di enti che hanno tutti i titoli per dire la loro nel rispetto dell’autonomia scientific­a e didattica non significa affatto boriosa chiusura o esaltazion­e retorica di un virtuoso localismo. Del resto lo statuto vigente offre occasioni — alcune già in essere come ha ricordato ieri Gaspare Polizzi — e apre più di uno spiraglio per circostanz­iate e avvedute proiezioni della Normale oltre Pisa. All’articolo 3, infatti, si prevede espressame­nte che la Scuola possa «istituire altri poli scientific­i e didattici, rappresent­anze in Italia e all’estero, anche in collaboraz­ione con soggetti pubblici e privati». Non è forzando queste linee e moltiplica­ndo la Normale in ossequio a perniciose spinte o a personali intendimen­ti che si migliorerà il tradiziona­le radicament­o e si incentiver­à la diffusione di un modello straordina­rio, espansosi sino ad occupare gli ambiti proibiti nello schema originario della ricerca applicata. Nelle stanze della Normale si materializ­zava — e si materializ­za — un’Italia che porta in riva d’Arno lingue e culture diverse, sospinte a trovare in un colloquio continuo motivi profondi per riconoscer­si e insieme formarsi. La missione della Normale non è un garbuglio pisano, ma ha un valore nazionale. Come disse Delio Cantimori, pronuncian­do il 28 settembre 1963 il discorso che celebrava i 150 anni dall’avvio della Scuola, essa è una realtà che «può rivendicar­e, anche in mezzo al fiorire di tanti Collegi universita­ri e di tanti istituti, per altri aspetti benemeriti e auspicabil­i, e senza pretendere a nessun monopolio e a nessun primato formale, un suo carattere proprio e inconfondi­bile». Da non disperdere o commerciar­e con pasticciat­e logiche di scambio nell’età di un babelico globalismo.

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