IL RETTILINEO MAESTOSO ALLA FINE DEL GRAN PRIX DI FINE OTTOCENTO
Rinunciare all’automobile: un gesto che, per chi è cresciuto in Valdarno, dove la patente aveva il valore di un permesso d’espatrio, risulta duro quasi quanto per un losangelino. Pure, Firenze è capace d’imporlo. Non ricordo se la goccia finale fu una multa, un ritardo a qualche appuntamento di lavoro per cercare parcheggio o una di quelle micidiali epifanie in cui realizzi a metà nottata che nella strada dove hai lasciato l’auto c’è il lavaggio: fatto sta che un giorno decisi di piazzarla in valle, e lì è rimasta.
Non mi viene scontato trovare elementi di nostalgia rispetto ai miei anni motorizzati in città, ma uno c’è, e coincide col viale del Poggio Imperiale. Se c’è un tratto di Firenze che è pensato per il traffico su gomma – che, anzi, si potrebbe dire figlio, almeno in avvio e in chiusura, di quella suggestione tanto ingenua quanto sinceramente progressista che a fine ‘800 faceva pensare che i mezzi a motore avrebbero risolto ogni problema —, è quel vero e proprio circuito da Gran Turismo che da Porta Romana risale per il viale, svolta verso Arcetri e poi, coi curvoni di viale Galileo, costeggia San Miniato e Piazzale Michelangelo fino a piazza Ferrucci. Il percorso è splendido in entrambe le direzioni, ma non ho scelto questa per caso, o perché il pezzetto di via San Leonardo non sarebbe percorribile nell’altro senso. La sua vera magia si innesca infatti sul viale del Poggio Imperiale, in virtù di una serie precisa di elementi: prima di tutto la Porta, che segna l’uscita dalla città e dalle sue strettoie; poi i leoni, ereditati dal ponte sospeso che lasciò il posto al Ponte alla Vittoria, che paiono suggerire un ingresso, un nuovo avvio, subito confermato dalla conformazione della strada: drittissima e in salita, a mo’ di rampa.
Poi, come a voler dare una prima soddisfazione a chi guida, dopo il drittone alberato e punteggiato di ville, compare la Villa Medicea — o meglio l’educandato dell’Annunziata, esso pure frutto di un’idea ottocentesca e liberale di mondo, quando Gino Capponi volle dotare la città della prima scuola femminile laica — e subito il percorso si qualifica come panoramico, mentre l’arrivo in altura, a un luogo che statue, portali e la stessa architettura indicano come alto anche nelle aspirazioni morali, fanno rivivere quell’idea d’altri tempi, falsa ma segretamente cara all’automobilista, delle quattro ruote come strumento d’elevazione anche interiore.