I detriti del Marocco (che finirono in Arno)
Tra il 1952 e il 1953, Robert Rauschenberg e Cy Twombly, tutti e due da poco presenti nell’agone del mondo dell’arte a New York, compirono un lungo viaggio tra il Marocco, mèta favorita dei transfughi statunitensi, e l’Italia. I due erano uniti da una passione amorosa, e dal desiderio di rivoluzionare i paradigmi della ricerca estetica, di cui discuteva con grande acutezza il maestro Josef Albers, nelle sue celebrate lezioni d’avanguardia al Black Mountain College. Dopo qualche mese nel Belpaese, Rauschenberg si diresse verso il Marocco, dove iniziò a collezionare detriti, minime memorie del quotidiano, per riassemblarle in quelle che chiamava «feticci personali». Nel 1953 vennero esposte alla Galleria dell’Obelisco a Roma e in una Galleria d’Arte Contemporanea nel Lungarno alle Grazie a Firenze. Se nella capitale i visitatori parlarono di uno scherzo, qui i critici si arrabbiarono: uno di essi scrisse che sarebbe stato meglio buttare quegli indesiderati oggetti in Arno. Così fecero i due artisti, con una personalissima cerimonia di addio sul greto del fiume. Però qualcosa di quel soggiorno rimase nell’immaginario di Rauschenberg. Tra il 1958 e il 1960 realizzò una serie di magnifiche decalcomanie dall’Inferno dantesco. Ora quelle icone spiccano nel recente libro di Lucia Battaglia Ricci, Dante per immagini, che da poco Einaudi ha mandato in libreria.