E Pezzella entrò nell’olimpo dei gladiatori
In campo nonostante l’infortunio, Pezzella da leggenda
Chissà cosa gli avrebbe detto Astori a fine partita nello spogliatoio. Certamente non sarebbe stato da meno, se fosse toccata a lui la decisione di rimanere in campo da «zoppo» oppure lasciare la squadra in dieci.
Pezzella e Astori, stessa tempra e stesso cuore, anche se nati a diecimila chilometri di distanza l’uno dall’altro. E avrà certamente pensato al suo vecchio capitano German, quando ha fatto segno di no con la testa: «Non esco, in questa partita e con la squadra in difficoltà». Qualcosa che ha caricato pubblico e compagni ed è servito per strappare il pareggio. Nulla di eroico, per carità, eppure abbastanza per iscrivere Pezzella nella ristretta lista di quelli che non mollano mai, a costo di compromettere la stagione. Gladiatori viola che si guadagnano un posto nel cuore degli appassionati di calcio, che a Firenze ha sempre privilegiato i lottatori ai «fighetti». Un gesto che ha ricordato un argentino nello stesso ruolo, Daniel Passarella, che al dolorino ha sempre contrapposto il ghigno del combattente.
Prendiamo poi un altro connazionale di Pezzella, il più grande di tutti: Gabriel Omar Batistuta, il campione che giocava con le caviglie martoriate e imbottite di novocaina. Sul finale della partita col Milan, con la Fiorentina in testa al campionato e sullo zero a zero, sente una fitta al muscolo mentre è davanti a Toldo per dare una mano alla difesa. Potrebbe e dovrebbe uscire, ma dice a Trapattoni che va bene così, che resta in campo. Non contento, parte in contropiede affiancato da Costacurta che arranca alle sue spalle fino a quando sente un colpo secco alla coscia e si accascia in mezzo si brividi del Franchi. Sta inevitabilmente fuori per oltre un mese. Chi glielo ha fatto fare?
Nessuno, solo la voglia di aiutare i compagni. Lo stesso sentimento che accompagnò per una stagione Gian Matteo Mareggini, l’anno della retrocessione in B nel 92/93. Doveva essere operato a una spalla, non riusciva ad essere lo stesso ottimo portiere dei due precedenti campionati, ma rimandò di continuo perché Mannini non dava le giuste garanzie e andò spesso in porta con le infiltrazioni.
Se qualcuno oggi gli chiede se lo rifarebbe, lui risponde senza esitazioni di sì, perché al cuore non si comanda. A volte si è talmente cocciuti da andare a un vero e proprio scontro con lo staff medico, come accadde a Rui Costa nella primavera del 1997. A Perugia, in una partita decisiva per la qualificazione in Europa, gli venne imposto di stare a riposo, ma lui volle provare lo stesso la mattina e a Ranieri disse che se la sentiva. Mentiva a tutti, a cominciare da se stesso e a dieci minuti dal termine gli saltò il muscolo. Chiuse la stagione con un mese e mezzo di anticipo e anche per lui nessun rimpianto: lo rifarebbe. E pure il tanto vituperato Montolivo si sacrificò proprio nell’ultimo atto della sua tormentata vita a Firenze.
Nel maggio 2012 non avrebbe proprio dovuto giocare a Lecce nella partita decisiva per la salvezza, ma andò da Guerini e garantì la sua presenza rischiando di compromettere gli Europei con la Nazionale. Fu il migliore in campo e salutò tutti con un sorriso, in fondo lo stesso di Pezzella sabato sera alle 20. Perché se sai di aver dato tutto, ti senti in pace col mondo.