Vincere perdendo: la storia di Caterina
Se ne è andata a 37 anni. La lunga malattia in una casa diventata luogo di fede e festa
Al suo capezzale canti e preghiere. E al suo funerale i fuochi d’artificio degli amici. Caterina Morelli, 37 anni, si è arresa al cancro alle 1.26 nella notte tra giovedì e venerdì. «Ma il suo funerale sembrava una festa», raccontano gli amici. Perché lei voleva così, lei aveva trasformato la malattia in occasione per ripesare la vita, per ripensare se stessi e per aiutare gli altri. Casa sua, durante la malattia, era diventata un porto di mare per tante persone. Lei ospitava tutti, offriva un posto caldo a poveri, emarginati, senzatetto, disoccupati. «Riusciva sempre ad essere generosa e allegra — dicono i suoi amici — Certamente triste, ma non perdeva mai il sorriso, non si rinchiudeva in se stessa, ma si apriva al mondo». La fede l’ha sempre sostenuta. E credeva che in tutto — nella vita e nella morte, nella gioia e nel dolore — ci fosse un disegno divino. «Tutta la mia sofferenza la offro a Gesù per il mondo. La volontà di Dio rende tutto perfetto». Questo ripeteva ai familiari. Una forza d’animo contagiosa, che aveva attirato le attenzioni di tantissimi fedeli fiorentini. «Gli ultimi anni della sua vita sono stati quelli più intensi».
Aveva 31 anni quando scoprì di avere il tumore al seno. Si era da poco sposata con Jonata, con il quale aveva già avuto una bambina, Gaia. Era incinta del secondo figlio quando le fu diagnosticata la malattia. Forma di tumore estesa e molto aggressiva. Ad una prima proposta dei medici di fare la chemioterapia, non compatibile con la maternità, Caterina preferisce portare a termine la gravidanza, affidandosi alle cure più tollerabili ma efficaci dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. Conosce bene gli aspetti della malattia, è laureata in medicina, specializzata in chirurgia pediatrica.
Dopo la nascita di Giacomo, Caterina comincia il ciclo di chemioterapia, poi nuove operazioni. Sembra stare meglio, ma nel 2015 il tumore si ripresenta. Metastasi al fegato, al polmone, alle ossa. La malattia sempre più invasiva, il corpo comincia a subirne gli effetti. Caterina ha sempre meno forze, si muove con fatica e spesso con l’ausilio di una carrozzina. Ma non rinuncia a vivere. Anzi, vive più di prima. Lo smalto rosso alle unghie, i gioielli e i vestiti che le piacciono. Insieme alla famiglia, parte in pellegrinaggio per Lourdes, poi Medjugore. «Pregava per la sua salute, ma pregava per la salute di tutti gli altri esseri umani», raccontano le amiche. La fede sempre più forte, così come il desiderio di aiutare gli altri. «Non eravamo noi a sostenere Caterina, era Caterina che sosteneva noi». È in questo periodo che si rafforza la sua opera umanitaria. Casa sua si apre agli altri, lei parla apertamente della sua malattia, cerca di aiutare chi vive la sua stessa condizione. Diventa un sostegno anche per i compagni d’ospedale, per tutti quelli che seguono i percorsi di chemioterapia. Diffonde a tutti la sua energia vitale, forma un gruppo di preghiera su Whatsapp. Invita gli altri a ritrovare la fede perduta.
E poi i raduni di preghiera, le gite con la Chiesa, la vicinanza coi frati della SS. Annunziata, la benedizione dell’arcivescovo Giuseppe Betori durante il pellegrinaggio della Rificolona dall’Impruneta a Firenze. Quel pellegrinaggio, lo scorso 8 settembre, lo fece in carrozzina, spinta dal marito. E sorrideva. Voleva esserci a tutti i costi, dipinse lei il logo dell’evento: una Madonna col bambino e una croce. Resterà questo per sempre il logo del pellegrinaggio.
Nel settembre 2018 la situazione precipita. Metastasi al cervello, peggiorano le sue condizioni fisiche. Caterina capisce che la fine è vicina. Anticipa la Comunione della figlia al 26 gennaio di quest’anno, pochi giorni fa. Una grande festa, nonostante tutto. Con lei c’è sempre il marito, che la sostiene, la spinge sulla carrozzina, l’adora ogni giorno di più. Poi il coma. Caterina si spegne a poco a poco, attorno al suo letto un pellegrinaggio di parenti, amici, sacerdoti. Pregano tutti insieme, in un clima di festa insieme ai figli, come avrebbe voluto lei.
In curva Fiesole, sabato, lo striscione degli amici tifosi. Al suo funerale, in Santissima Annunziata, 2mila persone. Fuori dalla chiesa, un altro grande striscione: «Cate sei volata nel cielo di Firenze per renderla più luminosa e bella». E mentre la bara usciva dalla basilica, gli amici hanno sparato i fuochi d’artificio.
❞ Gli amici Era Cate a sostenere noi, anche nei giorni più difficili casa sua era sempre aperta agli altri, parlava della malattia e cercava di aiutare chi viveva nelle stesse condizioni