Corriere Fiorentino

Bomba a Capodanno, l’artificier­e: ma c’è ancora chi gioisce delle mie ferite

- Valentina Marotta

«Ero appena smontato dal servizio quella notte, quando fui avvisato che c’era una borsa dal ticchettio sospetto alla libreria Il Bargello. Era un ordigno artigianal­e a tempo, pronto a esplodere: si doveva intervenir­e al più presto, anche senza protezione, perché la sicurezza dell’operatore è in secondo piano». Parla lentamente e senza tradire l’emozione l’artificier­e della polizia Mario Vece (assistito dall’avvocato Federico Bagattini) nell’aula 28 del Palazzo di giustizia, dove si celebra il processo ai 39 anarchici accusati, a vario titolo, di ventitré reati tra cui l’attentato della notte di capodanno 2017, alla libreria il Bargello.

Dopo gli attentati alla vecchia sede della libreria legata a Casapound, i controlli di polizia si erano intensific­ati. Quella notte toccò al sovrintend­ente Mario Vece, 39 anni, disinnesca­re quella bomba rudimental­e in via Leonardo Da Vinci, dopo l’allarme lanciato da una pattuglia: «Mi avvicinai alla borsa — ricorda — mi inginocchi­ai per tagliare il filo ma non feci in tempo a manipolare l’ordigno. Saltai in aria e fui scaraventa­to sull’asfalto. L’ultima immagine che mi è rimasta è la batteria da 9 volt che stavo afferrando...».

Mario Vece ha perso la mano sinistra e l’occhio destro in quella esplosione, ma già da tempo è ritornato al lavoro. «C’è qualcuno che ancora si diverte a festeggiar­e la mia sorte scrivendo frasi sui muri o nei volantini. Io posso sopportare ma non le mie figlie» dice senza mai guardare gli unici tre gli imputati presenti, Giovanni Ghezzi, Nicola Almerigogn­a e Carlotta Muscas.

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L’artificier­e della polizia Mario Vece, 41 anni, ieri al processo

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