Quel volto di Dante con un chiodo fisso
Seymour Kirkup, pittore e collezionista, cui il padre aveva lasciato una piccola fortuna con cui vivere tranquillo, aveva la passione del commercio con gli spiriti. Aveva conosciuto Byron e a lungo aveva frequentato William Blake. Nathanael Hawthorne fu così impressionato dall’incontro con lui da metterlo come personaggio nel suo romanzo italiano, Il fauno di marmo (1860). Appartato, talvolta nascosto, dimorante con una bimba che gli era affidata, che aveva poteri di veggente, protetto dalla sordità da un mondo esterno che poco lo interessava, fu il protagonista di una delle grandi riscoperte fiorentine dell’Ottocento. Egli, infatti, finanziò i lavori di sondaggio nella cappella di Maria Maddalena al Bargello, alla ricerca di un mitologico ritratto di Dante, di cui parla Vasari, tra gli altri, attribuendolo a Giotto. Le ricerche furono condotte con qualche goffaggine dal pittore-restauratore pratese Antonio Marini, che danneggiò un occhio, lamentando che vi fosse infisso un chiodo. Malgrado il divieto del Granduca, Kirkup ritrasse l’opera in una sua edizione del Convivio e ne mandò subito copia a Dante Gabriele Rossetti, suo caro amico. Il poeta, entusiasta, parlò di un «Apollo», ponendo quel volto a confronto con la maschera funebre, nel frontespizio del suo A shadow of Dante. Della scoperta e dell’ombroso personaggio narra ora Il naso di Dante di Pier Luigi Vercesi, da poco uscito da Neri Pozza.