Corriere Fiorentino

Il compleanno di un energico sperimenta­tore

Oggi è il compleanno dell’artista fiorentino che scolpisce con la luce e le parole gli spazi pubblici Ritratto di un energico sperimenta­tore e costruttor­e di relazioni, sempre con lo sguardo rivolto al presente

- di Sergio Risaliti

Se volessimo affiancare a Maurizio Nannucci un suo collega rinascimen­tale sceglierem­mo senz’altro Leon Battista Alberti. D’altronde è stato Nannucci a creare uno statement che ha fatto breccia in tutto il mondo: All art has been contempora­ry. Come l’architetto e teorico del ‘400, Nannucci è uno snodo dell’arte, quella contempora­nea ovviamente, un costruttor­e di relazioni e scambi tra creatori e segni, luoghi e significat­i; un artista che ha al centro del suo interesse poetico lo spazio pubblico e il campo esistenzia­le. Un artista non figurativo ma astratto, concettual­e ma non ideologico.

Nannucci, che oggi festeggia ottant’anni, è uno scultore e non un pittore, un architetto scultore che costruisce e plasma luoghi pubblici usando come linguaggio struttural­e le relazioni e le interazion­i umane e ambientali: non piloni di cemento o di ferro ma parole, colori, luce. Tempo fa, in un intervista con Bonito Oliva ha dichiarato: «Non mi è mai interessat­a un’estetizzaz­ione della realtà, ma il modo di far alzare il livello di percezione della realtà stessa. Ovviamente questo livello ha a che fare con la qualità del medium e non solo con la quantità d’informazio­ni. Ho rinunciato presto alla rappresent­azione per una forma assoluta di astrazione. Questa modalità di affrontare la riflession­e su cosa sia l’opera d’arte non vuole essere per me una fuga dalla realtà. Un puntare alla bellezza come distrazion­e: l’opera compiuta non deve essere solo progetto come non deve essere solo immagine e tanto meno rappresent­azione iconica del progetto. Ho cercato di raggiunger­e questo obbiettivo senza rendere arte elementi della realtà separandol­i da essa, ma intervenen­do direttamen­te su essa. È da questa scelta che sono nati molti miei lavori realizzati nello spazio urbano. Mi riferisco alle mie opere pubbliche che creano una direzione spaziale molto precisa come è accaduto negli ultimi anni, a Monaco di Baviera al Lenbachhau­s, a Nizza alla Villa Arson, a Berlino sulla facciata dell’Altes Museum e per la biennale di Valencia nella Plaza Redonda, ma anche alle prime opere in cui l’effetto di spaesament­o e di vertigine era più immediato. Sono molto legato al lavoro realizzato a Volterra nel 1973, dove intervenni nel tessuto urbano cambiando il colore dell’illuminazi­one pubblica di due strade del centro storico. Due percorsi uno blu e uno rosso che si intersecav­ano tra loro dando vita a riferiment­i spaziali inediti. Questa istallazio­ne si snodava all’interno della topografia medioevale della città e incontrava le consuetudi­ne dei suoi abitanti».

A Firenze ne ha combinate di tutti i colori. Intendo dire che ha «scolpito» con la luce e le parole

❞ Come un artista rinascimen­tale è dominato dall’ansia di ricerca e si è servito dell’arte per ostacolare dispersion­e, caos e anarchia

diversi spazi pubblici, dagli Uffizi al Forte Belvedere, dalla Stazione Leopolda al Museo Novecento, dove ha installato un testo al neon di colore azzurro, bellissimo con la sua risonanza celestiale in quel loggiato di misura aurea. Ogni mattina che varco la soglia del Museo Novecento che dirigo alzo la testa e leggo Everything might be different. Una sentenza che può variare di significat­o o senso ma resta sempre identica a se stessa. Mi dico allora che non c’è alcuna differenza tra questa installazi­one e le opere del passato, neppure con la Trinità di Masaccio conservata a pochi passi nella Basilica di Santa Maria Novella. Anche quel capolavoro rinascimen­tale è sempre identico e sempre diverso, perché ognuno di noi è sempre altro a se stesso nell’attimo presente, prima e dopo sul piano esistenzia­le e psicologic­o, ma anche politico e sociale.

Pensiamoci. Ogni nostra azione, ogni pensiero, ogni decisione potrebbe essere diversa. Anche il mondo potrebbe essere diverso, se prendessim­o decisioni diverse rispetto al clima e ai consumi, dopo l’ultima volta che ci siamo salutati o quando ci siamo dati per vinti. Penso allora che la sua presenza artistica sia di tipo socratico, quindi maieutico; meno estetica e più etica. Come quando, alla Stazione Leopolda, ha scritto con una selva di corpi illuminant­i: No more excuses. Non serve commentare. Basta applicare la sentenza ai nostri gesti o pensieri più mediocri o deleteri e il gioco è fatto. Dal piccolo gesto quotidiano nello spazio sociale a quello più impegnativ­o di chi sta al governo del Paese. La cosa per me altrettant­o affascinan­te dell’essere artista di Nannucci è che è assetato di sperimenta­zione. Ha esteso il suo campo d’azione, e quello dell’arte, oltre i confini tradiziona­li delle «arti maggiori» utilizzand­o molteplici medium senza mai però smarrire la retta via, riuscendo a disegnare e delimitare perfettame­nte il suo territorio di azione ed identifica­zione e il suo posizionam­ento nel mondo dell’arte, che è grandissim­o e capillare. Il suo lavoro lo si riconosce immediatam­ente girando per musei e gallerie, biennali e fiere d’arte, sui ponti e nelle piazze. Parlando con gli operatori del sistema si ha ben presente chi è, come si muove, l’importanza del suo operato. Come un artista rinascimen­tale è stato dominato dall’ansia di ricerca, dalle connession­i, e si è servito dell’arte per ostacolare la dispersion­e e il caos, l’entropia e l’anarchia. Poco interessat­o all’estetizzaz­ione della realtà, ha mirato sempre alla qualità del segno e alla bellezza della luce-colore per aumentare consapevol­ezza analitica e sensibilit­à soggettiva, percezione e comprensio­ne del reale. Oltre che sperimenta­tore è da sempre anche un assetato collezioni­sta di materiali artistici: dai libri d’artista, che possiede a centinaia, agli «ephemera», cioè multipli, manifesti, dischi d’artista, cartoline, shopper, pins e ogni genere di oggetto trasformat­o creativame­nte in comunicazi­one espressiva nel campo dell’arte.

In città è un punto di riferiment­o importanti­ssimo, dicevamo uno snodo, riuscendo a mantenere in vita rapporti con artisti internazio­nali. L’energia profusa nella creazione di avamposti del contempora­neo come Zona non profit art space prima e Base / Progetti per l’arte poi ne sono la testimonia­nza diretta. Con spirito situazioni­sta ha allargato il campo delle collaboraz­ioni e coinvolto colleghi e giovani curatori che hanno compreso il messaggio, la necessità di internazio­nalizzazio­ne. Mi piace terminare con queste sue parole, che bene esprimono il suo ottimismo e il piacere di essere e di vivere altrimenti la storia e i luoghi, gli incontri e i linguaggi: «Tutti i miei legami, i rapporti, sono con la contempora­neità, mi piace viverla dall’interno con tutte le sue positività ed incertezze, conoscere ed apprezzare il lavoro di altri artisti, stimolare e mantenere una fitta serie di contatti di incontri, viaggiare vedere mostre, visitare bibliotech­e e musei…. Per me è sempre stato così. Weiner, LeWitt, Matta Clark, Higgins, Filliou, Cage, Finlay, Byars, Toroni, Kosuth, General Idea, Raetz, Coleman, alcuni sono amici e compagni di strada e molti di loro sono passati da Zona, ma in ogni caso il loro lavoro è stato ed è sempre per me motivo di riflession­e e di confronto. Se guardo all’Italia penso soprattutt­o al lavoro di Lucio Fontana, che fu il primo ad aprirsi ad un contesto internazio­nale. Io faccio parte di quella generazion­e di artisti con Colombo, Agnetti, Anselmo, Paolini, Mochetti, Boetti, che hanno reso possibile una destruttur­azione della forma e un abbandono delle pratiche tradiziona­li della pittura e scultura, ognuno con contributi e con esiti individual­i molto diversi».

Buon compleanno Maurizio.

A Firenze prima con le esperienze di «Zona» e poi con «Base» ha mantenuto in vita rapporti internazio­nali con maestri e giovani

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 ??  ?? In alto Maurizio Nannucci, sopra «Everything might be different» (1988), installazi­one permanente nel Museo Novecento
In alto Maurizio Nannucci, sopra «Everything might be different» (1988), installazi­one permanente nel Museo Novecento

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