Il compleanno di un energico sperimentatore
Oggi è il compleanno dell’artista fiorentino che scolpisce con la luce e le parole gli spazi pubblici Ritratto di un energico sperimentatore e costruttore di relazioni, sempre con lo sguardo rivolto al presente
Se volessimo affiancare a Maurizio Nannucci un suo collega rinascimentale sceglieremmo senz’altro Leon Battista Alberti. D’altronde è stato Nannucci a creare uno statement che ha fatto breccia in tutto il mondo: All art has been contemporary. Come l’architetto e teorico del ‘400, Nannucci è uno snodo dell’arte, quella contemporanea ovviamente, un costruttore di relazioni e scambi tra creatori e segni, luoghi e significati; un artista che ha al centro del suo interesse poetico lo spazio pubblico e il campo esistenziale. Un artista non figurativo ma astratto, concettuale ma non ideologico.
Nannucci, che oggi festeggia ottant’anni, è uno scultore e non un pittore, un architetto scultore che costruisce e plasma luoghi pubblici usando come linguaggio strutturale le relazioni e le interazioni umane e ambientali: non piloni di cemento o di ferro ma parole, colori, luce. Tempo fa, in un intervista con Bonito Oliva ha dichiarato: «Non mi è mai interessata un’estetizzazione della realtà, ma il modo di far alzare il livello di percezione della realtà stessa. Ovviamente questo livello ha a che fare con la qualità del medium e non solo con la quantità d’informazioni. Ho rinunciato presto alla rappresentazione per una forma assoluta di astrazione. Questa modalità di affrontare la riflessione su cosa sia l’opera d’arte non vuole essere per me una fuga dalla realtà. Un puntare alla bellezza come distrazione: l’opera compiuta non deve essere solo progetto come non deve essere solo immagine e tanto meno rappresentazione iconica del progetto. Ho cercato di raggiungere questo obbiettivo senza rendere arte elementi della realtà separandoli da essa, ma intervenendo direttamente su essa. È da questa scelta che sono nati molti miei lavori realizzati nello spazio urbano. Mi riferisco alle mie opere pubbliche che creano una direzione spaziale molto precisa come è accaduto negli ultimi anni, a Monaco di Baviera al Lenbachhaus, a Nizza alla Villa Arson, a Berlino sulla facciata dell’Altes Museum e per la biennale di Valencia nella Plaza Redonda, ma anche alle prime opere in cui l’effetto di spaesamento e di vertigine era più immediato. Sono molto legato al lavoro realizzato a Volterra nel 1973, dove intervenni nel tessuto urbano cambiando il colore dell’illuminazione pubblica di due strade del centro storico. Due percorsi uno blu e uno rosso che si intersecavano tra loro dando vita a riferimenti spaziali inediti. Questa istallazione si snodava all’interno della topografia medioevale della città e incontrava le consuetudine dei suoi abitanti».
A Firenze ne ha combinate di tutti i colori. Intendo dire che ha «scolpito» con la luce e le parole
❞ Come un artista rinascimentale è dominato dall’ansia di ricerca e si è servito dell’arte per ostacolare dispersione, caos e anarchia
diversi spazi pubblici, dagli Uffizi al Forte Belvedere, dalla Stazione Leopolda al Museo Novecento, dove ha installato un testo al neon di colore azzurro, bellissimo con la sua risonanza celestiale in quel loggiato di misura aurea. Ogni mattina che varco la soglia del Museo Novecento che dirigo alzo la testa e leggo Everything might be different. Una sentenza che può variare di significato o senso ma resta sempre identica a se stessa. Mi dico allora che non c’è alcuna differenza tra questa installazione e le opere del passato, neppure con la Trinità di Masaccio conservata a pochi passi nella Basilica di Santa Maria Novella. Anche quel capolavoro rinascimentale è sempre identico e sempre diverso, perché ognuno di noi è sempre altro a se stesso nell’attimo presente, prima e dopo sul piano esistenziale e psicologico, ma anche politico e sociale.
Pensiamoci. Ogni nostra azione, ogni pensiero, ogni decisione potrebbe essere diversa. Anche il mondo potrebbe essere diverso, se prendessimo decisioni diverse rispetto al clima e ai consumi, dopo l’ultima volta che ci siamo salutati o quando ci siamo dati per vinti. Penso allora che la sua presenza artistica sia di tipo socratico, quindi maieutico; meno estetica e più etica. Come quando, alla Stazione Leopolda, ha scritto con una selva di corpi illuminanti: No more excuses. Non serve commentare. Basta applicare la sentenza ai nostri gesti o pensieri più mediocri o deleteri e il gioco è fatto. Dal piccolo gesto quotidiano nello spazio sociale a quello più impegnativo di chi sta al governo del Paese. La cosa per me altrettanto affascinante dell’essere artista di Nannucci è che è assetato di sperimentazione. Ha esteso il suo campo d’azione, e quello dell’arte, oltre i confini tradizionali delle «arti maggiori» utilizzando molteplici medium senza mai però smarrire la retta via, riuscendo a disegnare e delimitare perfettamente il suo territorio di azione ed identificazione e il suo posizionamento nel mondo dell’arte, che è grandissimo e capillare. Il suo lavoro lo si riconosce immediatamente girando per musei e gallerie, biennali e fiere d’arte, sui ponti e nelle piazze. Parlando con gli operatori del sistema si ha ben presente chi è, come si muove, l’importanza del suo operato. Come un artista rinascimentale è stato dominato dall’ansia di ricerca, dalle connessioni, e si è servito dell’arte per ostacolare la dispersione e il caos, l’entropia e l’anarchia. Poco interessato all’estetizzazione della realtà, ha mirato sempre alla qualità del segno e alla bellezza della luce-colore per aumentare consapevolezza analitica e sensibilità soggettiva, percezione e comprensione del reale. Oltre che sperimentatore è da sempre anche un assetato collezionista di materiali artistici: dai libri d’artista, che possiede a centinaia, agli «ephemera», cioè multipli, manifesti, dischi d’artista, cartoline, shopper, pins e ogni genere di oggetto trasformato creativamente in comunicazione espressiva nel campo dell’arte.
In città è un punto di riferimento importantissimo, dicevamo uno snodo, riuscendo a mantenere in vita rapporti con artisti internazionali. L’energia profusa nella creazione di avamposti del contemporaneo come Zona non profit art space prima e Base / Progetti per l’arte poi ne sono la testimonianza diretta. Con spirito situazionista ha allargato il campo delle collaborazioni e coinvolto colleghi e giovani curatori che hanno compreso il messaggio, la necessità di internazionalizzazione. Mi piace terminare con queste sue parole, che bene esprimono il suo ottimismo e il piacere di essere e di vivere altrimenti la storia e i luoghi, gli incontri e i linguaggi: «Tutti i miei legami, i rapporti, sono con la contemporaneità, mi piace viverla dall’interno con tutte le sue positività ed incertezze, conoscere ed apprezzare il lavoro di altri artisti, stimolare e mantenere una fitta serie di contatti di incontri, viaggiare vedere mostre, visitare biblioteche e musei…. Per me è sempre stato così. Weiner, LeWitt, Matta Clark, Higgins, Filliou, Cage, Finlay, Byars, Toroni, Kosuth, General Idea, Raetz, Coleman, alcuni sono amici e compagni di strada e molti di loro sono passati da Zona, ma in ogni caso il loro lavoro è stato ed è sempre per me motivo di riflessione e di confronto. Se guardo all’Italia penso soprattutto al lavoro di Lucio Fontana, che fu il primo ad aprirsi ad un contesto internazionale. Io faccio parte di quella generazione di artisti con Colombo, Agnetti, Anselmo, Paolini, Mochetti, Boetti, che hanno reso possibile una destrutturazione della forma e un abbandono delle pratiche tradizionali della pittura e scultura, ognuno con contributi e con esiti individuali molto diversi».
Buon compleanno Maurizio.
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A Firenze prima con le esperienze di «Zona» e poi con «Base» ha mantenuto in vita rapporti internazionali con maestri e giovani