Indagini, polemiche e una certezza: c’è un killer
Un’inchiesta tutta in salita quella che ha portato alla condanna all’ergastolo di Fausta Bonino. L’arresto tre anni fa poi la scarcerazione per scarsi indizi e la guerra delle perizie che hanno inchiodato la donna.
«Cercate il colpevole, non sono io. Io sono vittima di un complotto, sono stata incastrata. Chi ha ucciso invece è un fantasma ancora a piede libero». Fausta Bonino, 57 anni, l’infermiera che lavorava nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Piombino, ha ripetuto come un mantra durante questi anni la sua preghiera. Era finita agli arresti il 31 marzo 2016 appena rientrata da un viaggio a Parigi con l’accusa di aver provocato una scia di dieci morti, tutti pazienti tra 61 e 88 anni, uccisi da «bombe di eparina», il farmaco anticoagulante che se iniettato a dosi massicce in vena provoca emorragie che non lasciano scampo.
A incastrare lei, 35 anni di esperienza sulle spalle, era stata una segnalazione dell’ospedale, nel 2015 in seguito a due decessi. Partì così l’inchiesta dei carabinieri dei Nas di Livorno che portò a controlli incrociati sulle cartelle cliniche e sui turni del personale. La Bonino risultava sempre presente in corsia e dal giorno del suo trasferimento nel poliambulatorio non si sono più registrati decessi. Il dato di mortalità dei degenti, in quel reparto, dal momento dell’allontanamento, rivelarono le indagini, si ridusse drasticamente al 12 per cento rispetto al 20 per cento del periodo in cui lei prestava servizio. Dopo aver lavorato nei reparti di ginecologia e cardiologia, negli ultimi cinque anni una riorganizzazione l’aveva portata nel reparto di rianimazione ma lei lì non voleva stare. «Qui i pazienti muoiono da soli, e non con i cari accanto», aveva detto ai carabinieri.
Fin dal giorno dell’arresto le polemiche non erano mancate: perché gli investigatori non hanno utilizzato le telecamere? E le intercettazioni, anche quelle in cui lei dice «i morti me li sogno la notte», che valore possono avere? Polemiche cresciute poi quando il tribunale del Riesame aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare, ritenendo gli indizi insufficienti. Pur disponendo la scarcerazione i giudici avevano comunque messo un punto fermo all’inchiesta: l’eparina era stata iniettata volontariamente, e non per errore, in almeno quattro casi. E su questo sono sempre stati tutti concordi: i Nas, la Procura che ha chiesto l’arresto, il gip che l’ha concesso, il tribunale del Riesame che l’ha scarcerata, e la commissione regionale che ha fatto le sue valutazioni sui decessi.
Sul resto, spiegavano i giudici, servono approfondimenti: «Non è stato accertato con ragionevole certezza il tempo di somministrazione dell’eparina. In alcuni casi sembra che sia stata somministrata prima dell’entrata in serevizio della Bonino. Vista la complessità delle questioni scientifiche serve necessariamente una consulenza ematologica sugli effetti dell’eparina, sui tempi di reazione e sulle variabili dipendenti dalle condizioni di salute, dall’età e da eventuali patologie». Esattamente quello che ha fatto la Procura di Livorno. «Se ci sono elementi chiederemo il processo — è l’unica cosa che ha sempre detto il procuratore Ettore Squillace Greco senza mai replicare alle critiche, anche le più aspre — altrimenti ci fermeremo». La Cassazione ha poi accolto il ricorso della Procura contro la scarcerazione. Le indagini sono andate avanti. Sono state riesumate le salme e sono state fatte le perizie. Nel dicembre 2017 una consulenza certifica che dieci morti sospette erano compatibili con la somministrazione di eparina. A giugno la Procura ha chiuso le indagini accusando la Bonino di omicidio plurimo aggravato. A gennaio la scelta del rito abbreviato.
L’agguerritissima avvocatessa Cesarina Barghini che assiste l’infermiera fin dal primo giorno, nel corso degli anni ha cambiato diverse versioni: prima ha detto che il killer andava cercato da un’altra parte, poi si è corretta spiegando che non esiste nessun killer e che i morti sono vittime di un errore in corsia. I toni sono sempre stati sferzanti. A marzo, al termine di un’udienza, uscendo trionfante dall’aula, aveva proclamato: «Abbiamo asfaltato la tesi accusatoria». Anche Fausta fino a ieri continuava a proclamare la sua innocenza. «Andrò alla Corte europea, non mi arrenderò, mi hanno rovinato la vita». Quando pensava ancora che questa storia potesse avere un lieto fine aveva detto: «Quando la mia posizione sarà archiviata qualcuno mi chiederà scusa?».
«Bombe di eparina» Sono state iniezioni del farmaco anticoagulante a provocare i decessi
Inchiesta difficile
La Procura di Livorno chiese e ottenne anche la riesumazione dei cadaveri