Il «Messia» della montagna e la sua eredità
La storia Si chiamano Francesco e Mauro , custodiscono e predicano la dottrina del Cristo dell’Amiata Oggi in cima al Monte Labbro, accanto ai resti dell’eremo di David, presentano un libro sulla sua vita
In cima ai 1193 metri del Monte Labbro, vicino ad Arcidosso sull’Amata, David Lazzerini nell’800 fondò una comunità di oltre 400 persone, i Giurisdavidici, che volevano riformare la Chiesa. Francesco e Mauro sono gli ultimi rimasti e presentano il libro sulla sua storia della comunità.
Sono coperti di rocce aguzze, pruni e fiordalisi, i rilievi che conducono in cima a monte Labbro, quota 1.193 metri, un tempo dimora della Chiesa Giurisdavidica, fondata da David Lazzaretti. Un territorio aspro, abitato da pastori, pecore e lupi, e dove si sente il raglio dell’asino. È su queste asperità che il Messia dell’Amiata, nella seconda metà dell’ottocento, fondò una comunità di oltre 400 persone. Formata, in buona parte, dai «Villani dei colli»: contadini, spesso a digiuno di libri, che in lui ravvisavano una via spirituale e sociale, da seguire; e lassù costruirono una torre a spirale, ancora intatta, e un mastodontico eremo di pietra, oggi semidistrutto.
L’abitato di Arcidosso si trova poco distante, ed è in piazza Indipendenza che incontriamo Mauro e Francesco, «gli ultimi Giurisdavidici». «Siamo i custodi del messaggio di Lazzaretti — spiega il primo — e c’è una continuità tra i passati seguaci e il nostro operato: capire il messaggio, studiare i documenti raccolti dagli adepti dopo la sua morte avvenuta tragicamente nel 1878 e tramandarli». David, o Davide come lo chiamano in giro, era un barrocciaio di umili origini; in seguito a delle visioni iniziò a raccogliere discepoli con l’obiettivo di riformare la religione cattolica in vista di un «nuovo Cristianesimo». La nuova Chiesa si proponeva di abolire il rito romano, il celibato per i sacerdoti, e l’Inferno, che da eterno doveva diventare «punizione temporanea». «Mio babbo — racconta Mauro — è morto nel 2002, ed è stato l’ultimo sacerdote Giurisdavidico, e «custode del lievito»»: un ingrediente che va continuamente rinnovato. Allo stesso modo custodiamo il pane, che
❞ Siamo i custodi del suo pensiero, C’è una continuità tra i passati seguaci e il nostro operato: capirne il messaggio, e studiare i documenti raccolti dagli adepti dopo la sua morte
è il messaggio di Lazzaretti, quasi incomprensibile oggi»».
E il lievito si trova in studi, che affrontano vaste corrispondenze (5000 lettere), dipinti, fotografie, bandiere. Materiale prezioso, salvaguardato nella sezione espositiva del Castello Aldobrandesco, e, in parte, in un archivio a Zancona, una delle frazioni del monte Labbro. Mauro e Francesco appartengono alla Fratellanza Giurisdavidica: «Un’associazione nata con i testimoni diretti e proseguita con i testimoni orali, che rifiorì nel ‘68, quando Davide venne (erroneamente) accostato a Che Guevara». «I Fratelli» sono tornati a incontrarsi saltuariamente dagli anni ‘90; e si propongono di trasmettere il messaggio, «a chi lo può capire», attraverso la pubblicazione di studi, libri, e (rari) incontri pubblici. «Siamo rimasti una quindicina in tutta Italia — racconta Francesco — e ci ritroviamo ogni 14 agosto sul Monte Labbro, per scambiare vedute, accendere candele e pregare. Ciò che conta di Lazzaretti è il principio: un modo “di fare e essere a contatto con la natura”, che venne carpito dai “villani dei poggi”; non siamo una setta o una religione e non amiamo i proselitismi». Sul Labbro, tra l’Amiata e la Maremma, il profeta diede vita a una comunità composta da persone che dimoravano nei poderi intorno, e, a rotazione e per una settimana, si raccoglievano «su all’Eremo», in un atto che coniugava «fede, speranza e carità».
«Oggi — prosegue il Custode — durante il raduno, presenteremo un volume sulla storia, scritta e illustrata di Lazzaretti (costo 120 euro, ndr)». Francesco e Mauro si dimostrano consulenti dotti recitando a memoria interi versi del «Re dei re». «Si definiva in tanti modi — osserva Francesco — ma il termine che gli è stato cucito addosso “Cristo dell’Amiata” è fuorviante. Non ha mai fatto miracoli, se non quello di raccogliere un’ingente quantità di persone in cima a una montagna inospitale; oppure costruire due scuole, maschile e femminile, perché “solo studiando ci si può difendere”, istituti religiosi e gruppi di mutuo soccorso e una fattoria in Maremma per il lavoro della comunità». Lazzaretti chiedeva di occuparsi solo di ciò che riteneva «elevato», come il lavoro, che doveva essere «Bello, buono e ben fatto». A proposito di lavori ben fatti, in cima al monte c’è ancora la torre costruita con i soldi dei contadini, segno di una volontà di innalzarsi, non solo metaforicamente, verso Dio.
❞ Ciò che conta è ancora il principio di fondo : un modo di fare e essere a contatto con la natura, che venne carpito dai villani dei poggi; non siamo una setta o una religione e non amiamo i proselitismi