Il Duomo di Siena e i segreti nascosti sul suo pavimento
Da domenica fino a ottobre tornano visibili le tarsie marmoree del pavimento del Duomo Viaggio nel significato di un’iconografia ancora da scoprire. Che incantò anche Wagner
«A poco per volta, mentre Gurnemanz e Parsifal sembrano camminare, la scena si cambia insensibilmente da sinistra verso destra. Scompare così la foresta. Una porta, che s’apre nelle pareti della roccia, accoglie ora tutti e due. Poi si fanno nuovamente visibili su per sentieri in salita, che hanno l’apparenza di percorrere. Lunghi squilli di tromba ondeggiano miti per l’aria. Concerto di campane che s’avvicina. Finalmente sono giunti in una gran sala, che si perde verso l’alto in una cupola assai elevata, per la quale soltanto penetra la luce. Dall’alto, sopra la cupola, si ode un crescente scampanio. A ciascuno dei due lati del fondo viene aperta una gran porta. Dalla destra entrano i Cavalieri del Gral in solenne corteo, e, durante il canto che segue, si dispongono in fila a poco per volta, presso due lunghe tavole apparecchiate».
Richard Wagner rilanciò da par suo il mito del Duomo di Siena, come luogo magico, al tempo del Simbolismo. Ospite nel 1880 del barone Sergardi a Torre Fiorentina, si recava spesso con la famiglia a vedere quel luogo che «lo commuoveva fino alle lacrime». Egli chiamò, quindi, il suo scenografo Paul Jukowski, perché disegnasse dal vivo la cupola, di cui poi volle la riproduzione nel suo teatro di Bayreuth. Il pavimento appassionava specialmente il compositore tedesco. Il 18 agosto, verrà scoperto, fino all’ottobre prossimo, questo smagliante e complesso dispositivo, da sempre uno dei più discussi e fascinosi, per la complessa iconografia di questo monumento dedicato, come la città, alla Madonna. Non si contano le pubblicazioni su queste icone, a partire dal classico lavoro del 1906 di Robert H. Hobart Cust, I maestri del pavimento del Duomo di Siena edito in italiano da Cantagalli. Dopo avere ammirato, sul lato nord, il quadrato magico SATOR, dalle iniziali di cinque parole di cui gli studiosi non hanno ancora fornito la cifra, un mago accoglie i visitatori: Ermete Trismegisto, sapiente che riassume tutta la cultura antica. Egli è figura del Dio Toth, antico nume del sapere, dal profilo oscuro, come dichiara il libro che gli è intitolato, apportatore di morte a chi sfidi il divieto di leggerne le pagine. Caso unico nell’intera Cristianità, si apre quindi questa clamorosa macchina di simboli, con l’icona di una divinità precedente, posta a nume tutelare. Un cartiglio spicca nella piastrella preziosa, attribuita a Giovanni Di Stefano, risalente al 1488: Suscipite o licteras et legiis Egiptii, ossia imitate le leggi e le lettere dell’Egitto. Essa compare su un tavolo sostenuto da due sfingi. Dietro una simile committenza sta una figura peculiare di ermetista, Alberto Aringhieri, appartenente a una famiglia prestigiosa, che dal 1480 era Operaio (ossia responsabile) della Cattedrale.
Tra il 1482 e il 1483 egli, che si vede ritratto dal Pintoricchio nella cappella di san Giovanni Battista, aveva chiamato a realizzare le effigi delle dieci sibille, annunciatrici della nascita di Gesù ma non appartenenti all’iconografia cristiana corrente. Trent’anni prima avevano fatto la loro comparsa nel discusso Tempio Malatestiano riminese, che Pio II aveva liquidato come: «luogo degli adoratori del diavolo». Alcuni studiosi suggeriscono che in queste figure ci sia un disegno astrologico: il 1484 fu l’anno detto da tutti gli scrutatori di segni Horribilis, quando Giove e Saturno in scorpione annunciavano disgrazie, guerre e pestilenze. Aringhieri fu anche responsabile della committenza a Pinturicchio della Allegoria del Colle della Sapienza, in cui la Dea è preceduta dalle figure di Socrate, martire per il sapere, e di Cratete di Tebe, che getta in mare gioielli e monete, per significare che i beni materiali non contano nulla. Misteriosi sono anche alcuni aspetti delle opere realizzate su disegno di Domenico Beccafumi, appassionato di alchimia, a cui dedicò una serie di stampe evocative. Egli era dedito, come ribadiva la sua fama, a «storiette capricciose», di ricerche di metalli preziosi. A Siena era famigerato il caso di Cesare Angiolieri, che diceva di parlare con il demonio e aveva messo su una zecca per falsificare monete, fino al punto di cercare di pagare un suo pesante debito con i banchieri Chigi, usando dei grossoni senesi che aveva provveduto a coniare. Su questi e altri aspetti esoterici nel Duomo, venne realizzato un convegno, i cui testi vennero editi con il titolo Nei giardini di Toth (Pascal, 2007), a cura di Mario Aschieri e Vinicio Serino, studioso di queste materie. Non per caso Arrigo Pecchioli ha dato alle stampe un volume sui Tarocchi del Duomo di Siena (edito da Betti), in cui le efficaci illustrazioni di Fabio Mazzieri provano a rimettere in ordine le figurazioni simboliche del pavimento.