La fragilità di una piazza E i Bischeri che la abitano
Luce, l’incomparabile luce di Firenze. Si fonde con i colori delle pietre, rende tutto ancora più profondo e impalpabile. Nella pienezza del giorno si manifesta per togliere sostanza. Al mattino rincuorava come un’alba che sveglia una casa addormentata, ora confonde e mescola sogno e realtà. Sono in centro, nell’esatto centro del turista a Firenze: solo che in questo centro c’è la distanza, quella stessa distanza che a volte misuro dentro, frugando altre stagioni della vita. Mi sento più perso che nella più irraggiungibile delle periferie. Piazza del Duomo, ovvero il brulichio delle comitive e il festival dei selfie. Tavoli all’aperto sempre affollati, bistecche servite anche all’ora del tè. Le carrozze dei cavalli e le jeep dei militari dell’antiterrorismo. Centinaia di persone in fila per centinaia di gradini, la cupola del Brunelleschi che sul serio pretende sacrificio. Mentre io ci passo sotto tutti i giorni, indifferente. La sorpresa di Firenze si rinnova a ogni viaggio, assicurava Ennio Flaiano, e forse vale per ogni viaggio che sia davvero tale. Il
problema è come coltivare la sorpresa da fiorentino. Forse è questo che si intende quando si dice di voler abitare poeticamente la città. Non dare niente per scontato. (...) Sì, anche qui, in piazza del Duomo, in questa Venezia senza laguna, in questa bolla di bellezza che stento a chiamare città. Sto vaneggiando, caro editore? Vorrei che non fosse un monologo, vorrei capire come la pensi davvero. L’eccesso di parole è effetto collaterale per chi cammina come il sottoscritto. Però c’è di peggio: ovvero i discorsi che Firenze sembra essere sempre sul punto di sollecitare. Io quasi sempre ci casco. Versione uno: Firenze trionfo di bellezza, idea rinascimentale che si è fatta realtà, stessa categoria di perfezione cui appartiene l’Uomo vitruviano disegnato da Leonardo. Versione due: Firenze ovvero la bellezza sciupata, degradata, picconata, meraviglia che non mantiene fede alle sue promesse, possibilità non colta ma piuttosto tenuta alla larga. Nel caso, a te la scelta, caro editore: in genere funzionano sia l’una che l’altra versione, l’importante è volare alto, come se Firenze fosse una missione o un destino. (...) Piazza del Duomo: non avevo intenzione di passarci, ma ora sono nel cuore di una città che si reputa monumento ed è fragile come un giocattolo. A volte qualcuno vorrebbe romperlo, per capire come funziona. Allo stesso modo si taglia un albero per capire quanti anni ha. A questa piazza, certo, si conviene il ragionamento del teologo o del critico d’arte. Mentre io, è evidente, sono il solito coglione che si agita come un cacciatore di farfalle, col retino ad agguantare ciò che capita. Ora ti parlerei volentieri del Brunelleschi, ma non per questa meraviglia. Piuttosto per un suo amico, che si chiamava Paolo dal Pozzo Toscanelli e studiava in cielo le posizioni delle comete, in terra la geografia di Tolomeo. Fu lui a disegnare il planisfero che mostrava come
Il brano è tratto da «Gli occhi di Firenze» di Paolo Ciampi (Bottega Errante Edizioni, 2019, pagine 246, prezzo 14 euro, illustrazioni di Elisabetta Damiani, Collana «Le città invisibili», www.bottegaerranteedizioni.it)
raggiungere le Indie attraverso l’Atlantico, senza sospettare del continente in mezzo: Cristoforo Colombo ne fece tesoro. All’amico invece insegnò la matematica, addestrandolo ai calcoli con cui innalzare la cupola dalla terra al cielo, sfidando la gravità. Molte cose girano intorno a questa piazza. Quindi ti proporrei di camminare intorno al Duomo, non per farti constatare quanto sia grande, piuttosto per presentarti il Palazzo dei Bischeri. Giusto per una parola da cui a Firenze non puoi prescindere. L’avrai sentita anche tu. Anzi, magari avrai provato a rovesciarla addosso a qualche fiorentino. Come chi tenta di imitare la nostra “c” aspirata. E ti assicuro, meglio non provarci, viene più falso delle banconote di un gioco da tavola. Sei proprio un bischero, non fare il bischero. Quante volte, no? Sulle nostre labbra fiorisce come quella maremma che, maiala, bucaiola o puttana che sia, rappresenta alternativa decente alla bestemmia. E ha ragione Carlo Lorenzini, sempre lui, il babbo di Pinocchio: Levate ai fiorentini la bestemmia, e torna quasi lo stesso che portargli via mezzo vocabolario della lingua parlata. Ha ragione, ma almeno una parola abbiamo preso in prestito, per non bestemmiare. Maremma, maremma, con buona pace di una terra di Toscana che ben altro meriterebbe. Bischero, insomma, ovvero grullo, scemo, sprovveduto. Incapace di fare le cose secondo ragione e interesse. Non a caso, direi, la parola indica anche il membro maschile, che si sa, non è propriamente sede dei neuroni. Bischero, appunto come lo fu chi abitò qui, tra la piazza e l’abside del Duomo. I Bischeri — con la maiuscola — erano famiglia importante, che annoverò tra le sue fila diversi priori e gonfalonieri di giustizia. Quando il governo fiorentino volle allargare la cattedrale — per farne quella che oggi si ammira — propose loro l’acquisto di questi terreni. Pare che l’offerta fosse più che congrua, ma i Bischeri provarono a tirare sul prezzo. Alla fine il governo perse la pazienza e procedette all’esproprio. Pare anche che di notte le loro case venissero devastate da un misterioso incendio. Be’, è da allora che si è precisato il concetto di bischero. A imperituro ricordo della famiglia che perse tutto per aver voluto troppo. Vedi? C’è ancora una targa, all’angolo tra piazza del Duomo e via dell’Oriuolo: il Canto dei Bischeri. Per l’appunto dove oggi c’è il palazzo della Presidenza della Regione. Lo stesso palazzo dove da tanti anni anch’io ho il mio ufficio. Significherà qualcosa? E siccome non voglio mettermi e metterti in imbarazzo, caro editore, meglio proseguire. (15. Continua)