LO STRAPPO DI SAN MARCO
Zitto zitto il ministro Alberto Bonisoli l’ha rifatto. Due mesi fa era toccato all’Accademia perdere l’ autonomia che aveva consentito alla direttrice Cecilie Hollberg di avviare uno straordinario — quanto necessario — piano di ammodernamento dopo gli ottimi risultati economico-gestionali conseguiti. Martedì sera dalle fredde e assai burocratiche paginette del primo decreto attuativo della riforma, Firenze ha appreso che il Museo di San Marco seguiva lo stesso destino dell’Accademia: via dal polo regionale per essere accorpato agli Uffizi. Sarà un bene o un male? Nessuno qui può dirlo. I giochi sono stati fatti nella stanze romane. La stessa Cristina Acidini, ex soprintendente del fu Polo Museale Fiorentino (che gestiva Uffizi, Accademia e tra gli altri anche San Marco) nell’intervista rilasciata giovedì al nostro giornale rilevava sostanzialmente due problemi: 1) il polo perde l’unico museo davvero di prestigio che potesse aiutare le tante ville medicee e i cenacoli che proprio redditizi non sono; 2) nell’accorpamento delle tre gemme Uffizi-Accademia-San Marco al momento non pare esserci una logica. Come per l’Accademia anche per San Marco — che certo ha bisogno di promozione e visibilità — i prossimi mesi sono cruciali. A ottobre cade l’anniversario dei 150 anni dalla nascita del museo. La direttrice Marilena Tamassia (sarà confermata?) sta lavorando da mesi a un calendario di iniziative oltre alla presentazione dei restauri di due opere del Beato Angelico (il Giudizio Universale e la Pala di San Marco). Settembre è domani, ottobre domani l’altro. Chissà quali sorprese (ancora) ed effetti avrà questa rivoluzione leggera senza fondamenta: adeguati studi, analisi, come invece fu fatto per la riforma Franceschini che seguì la strada tracciata dagli atti della Commissione Bray e da un rapporto della Bocconi realizzato nel 20112012 . L’idea di fondo era chiara: trasformare i musei in vere istituzioni pubbliche con i consigli di amministrazione che avvicinavano i grandi musei italiani a quelli internazionali come modalità di gestione. L’idea di fondo di questa riforma sembra essere solo il feroce ritorno al centralismo. Non solo zitti zitti, ma anche col paraocchi.