Da Castiglioncello a Pisa, terza tappa del viaggio sulle curve de «Il Sorpasso»
Terza tappa del nostro viaggio sull’Aurelia, da Castiglioncello a Pisa Il tratto più blu, ma anche più pericoloso. Dove la crisi ha cambiato tutto
Da Castiglioncello, dove era andato a far visita alla sua ex moglie e alla figlia, interpretata ne Il Sorpasso da una giovane e avvenente Catherine Spaak, Bruno Cortona riparte alla guida della sua Lancia Aurelia grigio chiara, decappottabile. Il compagno di viaggio Roberto Mariani appare sempre più confuso e scombussolato, ma l’ avventura agostana prosegue. C’è euforia, voglia di evasione: è estate. «Per me Il Sorpasso è la metafora dello scontro tra gli antichi e i moderni: Gassman in quel film rappresenta l’homo novus che con la Lancia strombazza contro il mondo della tradizione ormai al tramonto», osserva lo scrittore livornese Simone Lenzi. Ci sono estati che talvolta però muoiono giovani. Come quella dei protagonisti del film. L’Aurelia, si sa, è una via che non ammette confidenze. Soprattutto in tratti, come quello da Castiglioncello a Livorno, tutto curve e precipizi. Bruno Cortona azzarda. Corre e guarda il mare. Quercianella, il Romito, Calafuria, dove all’ennesimo sorpasso avviene la tragedia: la Lancia si schianta contro un camion e precipita in un burrone. Bruno-Gasmann, il cialtrone, l’esuberante, riesce a saltare fuori dall’auto e si salva mentre RobertoTrintignant, il timido e l’insicuro, muore. Fine de Il Sorpasso.
Finale triste? Tutta colpa del tempo e di una strana scommessa. La storia è questa. Al produttore Mario Cecchi Gori il finale drammatico non piaceva: lo riteneva un pugno nell’occhio della commedia all’italiana, allegra di gag, risate, anche amare, pensose, ma pur sempre risate. Il regista Dino Risi era però di avviso contrario. Quel finale luttuoso piaceva da morire. Che fare? Cecchi Gori da abile giocatore mise a scommessa il finale del film. «Ci disse: facciamo così, se domani piove, come a lui sembrava che dovesse succedere, si torna tutti a Roma, e il film finisce con i protagonisti che se ne vanno felici e contenti, ormai amici per sempre. Non è piovuto e il finale sarebbe stato il mio», ha raccontato Risi a Irene Bignardi (Repubblica, 9 agosto 2006). Il tratto del Romito e di Calafuria è uno dei più maledetti dell’Aurelia. Incidenti e auto ribaltate. L’ultimo è avvenuto di recente: una giovane di 25 anni è precipitata nel burrone, ma come il protagonista de Il Sorpasso è riuscita a salvarsi balzando fuori dal veicolo. Molti purtroppo i feriti e i morti come una recente indagine dell’Ania certifica: l’Aurelia è la strada italiana più pericolosa con 1152 incidenti, 30 morti e 1616 feriti (i dati sono riferiti a tutti i 697 km dell’arteria da Roma al confine francese). Nonostante che, ad esempio, nel tratto toscano, la costruzione della Variante da Rosignano a Grosseto abbia reso meno insanguinata l’Aurelia rispetto a quando attraversava i centri storici di Grosseto, Follonica, San Vincenzo e Cecina. Dove dai tir alle biciclette tutti i mezzi vi transitavano.
Racconta Elisa Paolini, manager fiorentina, che in queste zone viene in vacanza da
quando era piccola: «Negli anni Settanta percorrere anche pochi chilometri di costa era un vero e proprio incubo. Da Donoratico a Cecina ogni giorno incidenti e file sterminate. Ricordo le chiacchiere fuori dai bar dove la gente di qui scuoteva la testa guardando le auto e i camion fermi per l’ennesimo incidente e imprecavano: “Questa strada con tutti i morti potrebbe coprire l’asfalto da Grosseto a Livorno”».
Dal Romito ha inizio il tratto più marino dell’Aurelia: asfalto, curve, scogli e il mare che si slarga e sembra abbracciarti, inghiottirti, annullarti nell’azzurro. Poi il castello Sonnino, la Cala del Leone, Calignaia, il Castello del Boccale, il Miramare, la rotonda d’Ardenza (che sarà intitolata a Carlo Azelio Ciampi) poi l’Accademia Navale (la più importante d’Europa e famosa nel mondo), i bagni Pancaldi costruiti nel 1924, la terrazza Mascagni: un susseguirsi di abbagli e incanti.
Lo scrittore americano Henry James definì Livorno una «Toscana minore» perché non ci sono palazzi, chiese, monumenti architettonici di grande pregio come a Firenze, Lucca, Pisa o Siena, ma la città labronica può vantare «il lungomare più bello d’Italia», sostiene Piero Mantellassi, presidente del Consorzio nautico, cui fanno riferimento 62 circoli per la gestione di oltre 6 mila barche, che danno il senso dei livornesi per il mare. Lenzi, livornese doc, racconta (in Sul Lungomai, Laterza) che stare sul mare è lo scopo di vita dei livornesi, e già a aprile «le infradito scalpitano davanti alla loro porta di casa».
La crisi economica ha messo a nudo l’incapacità di Livorno, vissuta per decenni di porto e aziende di Stato, a giocare la carta del turismo. Quando arrivano le crociere i turisti scendono e subito salgono su autobus che li trasportano altrove, a Pisa, Firenze o Siena. Spesso neanche il tempo di una sigaretta, di un caffè o di un selfie. Turisticamente Livorno è la città dell’Altrove. Uno sbarca e riparte per altre destinazioni. Quasi che la città coltivi una gelosia segreta e inconfessabile per il suo mare: troppo bello da spartire con altri, da sfruttarlo commercialmente, è nostro e ce lo godiamo. E poi i livornesi non si sentono superiori agli altri ma neanche inferiori. Di fare i camerieri proprio non gli va a genio. O almeno non gli andava. «Qualcosa sta cambiando nel senso che esiste oggi una larghissima condivisione di idee nel voler trasformare questa città in una grande offerta turistica», spiega Mantellassi. E piatto forte, oltre al lungomare, sono i Fossi con i tantissimi e grandi palazzi d’epoca che fanno sfoggio lungo i canali, già visitabili con i battelli che li percorrono, testimonianza della ricchezza europea della città, favorita dalla leggi livornine che, promulgate nel 1591 da Ferdinando I dei Medici, richiamarono armeni, levantini, ponentini, portoghesi, olandesi, inglesi, ebrei, tedeschi, turchi, spagnoli con i loro traffici. Crogiolo di razze e culture. Porto franco, non porto chiuso.
L’Aurelia è la direttrice storica, oltre al mare, attorno alla quale la città si è sviluppata. A Stagno, zona industriale, la via attraversa lo Scolmatore e va verso Pisa, incontrando prima il campo americano di Camp Darby, teatro in passato di manifestazioni contro la Nato e gli Usa. Uno dei luoghi simbolo della contestazione pacifista e della sinistra radicale. In parallelo a ridosso del mare si trovano le spiagge di Tirrenia e Calambrone, gli unici luoghi dove livornesi e pisani si ritrovano a gomito di ombrellone, e pare che non litighino.
Lungo l’Aurelia a Pisa una volta fiorivano le fabbriche come la Piaggio, la Sanac, la Saint Gobain, la Genovali, il fiore produttivo della città. «Ci sono ancora bar nati con le fabbriche o con gli artigiani. Le manifestazioni operaie più importanti e dure si facevano sull’Aurelia», ricorda Soriano Ceccanti, da mezzo secolo in carrozzella, da quando il 31 dicembre 1968, a 16 anni partecipò alla manifestazione fuori dalla Bussola di Focette e un proiettile lo colpì alla spina dorsale.
L’Aurelia era il cuore di un forte sistema produttivo e di una classe operaia riflessiva: il Sessantotto è nato in riva all’Arno pisano. Fabbrica e politica, questo il binomio di quegli anni. Potere operaio, non caso, nasce qui. «A Pisa in quegli anni la sinistra parlava più di politica che di sesso o di calcio», racconta il pisano Guelfo Guelfi, ex Lotta continua. Quel mondo attorno all’Aurelia è venuto meno: le fabbriche hanno chiuso e gli ex operai sono diventati impiegati dell’altra Pisa, quella delle università e degli ospedali. Sulla sinistra dell’Aurelia, zona san Rossore, si trova il Cep, quartiere di case popolari, sulla destra a mille metri il Duomo e la Torre pendente. Il bivio. Al Cep una volta cantavano «Bandiera rossa» ma un anno fa ha vinto la Lega di Salvini. E sull’Aurelia non si vedono più pugni chiusi.
(3. continua. Le prime due puntate, sono state pubblicate il 4 e l’11 agosto)
❞ La manager
Negli anni Settanta percorrere anche pochi chilometri era un incubo Da Donoratico a Cecina ogni giorno incidenti e file sterminate. Ricordo le chiacchiere fuori dai bar dove la gente scuoteva la testa guardando le auto e imprecava