Corriere Fiorentino

IL FRANCHI È UN TEMPIO PIENO DI RICORDI, VA SOLO RESO MODERNO

- Riccardo Barthel Arredatore

Caro direttore, sono un fiorentino del Campo di Marte, classe 1946, nato e cresciuto a cento metri dallo stadio. Consentite­mi qualche ricordo e un po’ di nostalgia. Quando avevo 10 anni la Fiorentina di Befani e Bernardini vinse il suo primo fantastico scudetto. La domenica, dal mio giardino, mentre giocavo a pallone da solo, ascoltavo l’altoparlan­te dello stadio che annunciava la formazione, immaginavo che il muro fosse un compagno di squadra e che gli alberi fossero avversari, ascoltavo il boato del pubblico ad ogni gol realizzato dai viola e sapevo il risultato senza bisogno della radio. Quando mancavano dieci minuti alla fine, andavo da solo allo stadio perché era quello il momento in cui aprivano i cancelli. Che emozione! Non c’era tempo da perdere e allora mi sistemavo sui primi gradini della scala, così potevo vedere da vicino Julinho, Montuori, Virgili e gli altri viola. E allora vivevo il momento fantastico in cui sentivo da vicino tutti i rumori e le voci del campo. Ma veniamo a noi, all’oggi. Sono molti anni che si sente parlare di un nuovo stadio, da costruire in periferia o addirittur­a fuori dal Comune. Una follia. Pur conoscendo le motivazion­i (sincere o interessat­e) che spingono parte dell’opinione pubblica ad essere favorevole alla costruzion­e di un nuovo stadio, ritengo che Firenze abbia uno degli stadi più belli del mondo, giustament­e ritenuto un capolavoro di architettu­ra e ingegneria. Lo stadio di Firenze deve restare questo, con tutte le migliorie necessarie senza modificarn­e la bellezza. In questo nostro stadio è racchiusa tutta la storia della Fiorentina e dei tifosi viola. Quelle tribune hanno visto vincere due scudetti, hanno visto partite internazio­nali, hanno visto giocare Julinho, Montuori, Cervato, Albertosi, Lojacono, Hamrin, De Sisti, Antognoni , Batistuta, tanto per citare qualche indimentic­abile campione. Quando una struttura è intrisa di ricordi e di emozioni, allora uno stadio diventa lo Stadio. E non si può rinunciarv­i. Il futuro si costruisce sul passato. Pensate a un giocatore che debutta al Franchi e che sente il peso e lo stimolo dei grandi che lo hanno preceduto e che hanno percorso con l’inconfondi­bile rumore dei tasselli il tunnel che li porta al campo. Tutto questo non può andare perduto. Uno stadio deve far parte del tessuto urbano, deve «vivere» in mezzo alla gente. La partecipaz­ione popolare di una volta, quando dalla terrazza sul tetto del viale Fanti la gente seguiva la partita, uno spicchio di partita, è perduta, ma io sogno il nostro stadio in un giorno di primavera, con le strade in festa, le bancarelle dove si vende il cibo, la gente allegra, la bandiere — le nostre e quelle della squadra ospite — che sventolano. E alla fine tutti a prendere un gelato. Lo so, è un sogno. Ma qualche volta i sogni si avverano...

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