«I finanziamenti ai partiti? Ormai è un far west»
Il politologo Valbruzzi: da Open a Rousseau, sempre meno trasparenza e più personalismi
«Le riforme sul finanziamento ai partiti hanno prodotto solo effetti negativi. Ormai è il far west». È il giudizio del politologo Marco Valbruzzi dopo il caso Open, ma anche sui finanziamenti (dubbi) a M5S e Lega.
L’inchiesta sulla fondazione Open, la cassaforte di Matteo Renzi; i dubbi su come si finanzia l’associazione Rousseau del M5S; ma anche i presunti fondi russi per la Lega di Salvini. Il politologo Marco Valbruzzi è categorico: «Le riforme di questi anni sul finanziamento ai partiti hanno prodotto solo effetti negativi. Ormai è il far west».
Perché è così drastico, professor Valbruzzi?
«Partiamo dai dati: il Partito democratico nel 2011 riceveva 57 milioni di euro di finanziamento pubblico. La Lega, 17 milioni di euro. Entrambi, ora, hanno il 700% dei fondi in meno: solo 7 milioni il Pd, lo stesso calo per la Lega, col due per mille delle dichiarazioni dei redditi».
È possibile fare politica senza o con meno finanziamento pubblico?
«Certo: ma chi può fare politica con questi numeri? Pochi: solo chi riceve finanziamenti esterni e chi ha incarichi elettivi che gli consentono di versare contributi ai partiti. La riforma — cancellazione del finanziamento pubblico, solo 2 per mille e contributi privati — doveva essere un modo per aprire i partiti alla società: invece è stato un modo per chiudere i partiti in loro stessi».
Solo con eletti in Parlamento che possono versare parte dell’indennità i partiti possono darsi struttura, fare promozione, iniziative...
«Se sei parlamentare dai soldi al partito e questi fondi ti consentono di rimanere influente nel partito. Così si rafforza il partito degli eletti e si separa ancora di più il parlamentare da simpatizzanti, elettori, iscritti».
Vale anche per il «populista» ed anti casta M5S?
«Anche il Movimento 5 Stelle è diventato un partito di eletti. Con un problema in più: essendo il rapporto tra Associazione Rousseau, eletti e gruppi locali un rapporto tra scatole cinesi, non si capisce
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Presumiamo che Open abbia finanziato l’attività di Renzi. Non si sa però per fare cosa, né chi ha donato se non in parte
chi finanzia cosa».
Molti politici, come Renzi, hanno creato fondazioni per sostenere la loro attività ricevendo donazioni da privati. È una soluzione?
«No, per più motivi. È un modo per rafforzare la propria posizione individuale e per scavalcare la normativa sul finanziamento ai partiti. Le fondazioni private sono forme di finanziamento per il leader del partito: l’intera filiera è ancora meno trasparente».
A differenza dei partiti, le fondazioni non hanno l’obbligo di dichiarare da chi ricevono i fondi...
«Dentro le fondazioni uno fa più o meno quello che vuole. Non c’è l’approccio Usa alla trasparenza Usa, lì è — quasi — tutto trasparente e pubblico. Nel caso da cui siamo partiti, quello della fondazione Open, presumiamo che abbia finanziato l’attività di Matteo Renzi. Non si sa però per fare cosa, in che contesto e chi l’ha finanziata, se non in parte. Per non parlare delle elezioni locali: qui tutto è lasciato alla buona volontà. Alcuni candidati, alla fine, rendono pubblico voci delle singole spese, ma è ma è obbligatorio sono indicare la cifra totale». In Europa come fanno?
«L’Italia è l’anomalia nel contesto europeo, unico Paese ad aver abolito il finanziamento pubblico ai partiti. Il legislatore pensava di incentivare il finanziamento privato, invece è diminuito pure quello. L’esplodere dei finanziamenti privati indiretti attraverso le fondazioni ammorba la polemica politica italiana, portando peraltro alla personalizzazione estrema. Senza questo tipo di finanziamenti, neanche Renzi avrebbe deciso di lanciare in maniera così “allegra” il suo partito».
E il rapporto tra finanziamenti privati e partiti porta spesso a dubitare dei reali interessi in gioco...
«La trasparenza assoluta è l’unica risposta a questo problema. Altrimenti, resta sempre il dubbio (ed a volte ci sono prove) di influenze di un sottobosco. Siamo di fronte ad un fallimento della normativa sul finanziamento ai partiti. La classe politica dovrebbe prendere atto della necessità un finanziamento pubblico ai partiti, che incentivi l’organizzazione democratica interna ai partiti e gli sforzi per tornarsi a radicare nella società. Ovviamente, ognuno gestisce la propria democrazia come vuole: congressi, primarie, si sbizzarriscano. Ma con uno statuto riconosciuto e diritti-doveri degli iscritti».