Scrittura libera
Nesi racconta: «Il nuovo romanzo? Nato da una lettera»
«Bambina mia adorata…». Lo spirito che guida il nuovo romanzo di Edoardo Nesi parte dall’esercizio «libero e genuino» della scrittura di una lettera. «Fu pubblicata qualche anno fa — racconta — ed è il punto di partenza di questo modo svincolato che ho di scrivere». Lo scrittore pratese, premio Strega nel 2011, torna domani nelle librerie a quattro anni di distanza da L’estate infinita. La mia ombra è tua, edito da La Nave di Teseo, è ambientato in gran parte in Toscana: racconta di un vecchio scrittore di successo e della sua lotta con se stesso attraverso l’incontro con un giovane neolaureato (la voce narrante) che diviene rocambolescamente suo assistente. Fra letteratura, mitologie estetiche, vizi, illusioni, social network e tentativi di cancellare il proprio passato, la nuova narrazione di Nesi si accende in un viaggio on the road che «in principio doveva essere il libro stesso». Lo scrittore parlerà del romanzo in anteprima toscana a «Intemporanea», il 2 ottobre alle 21, alla biblioteca delle Oblate in una conversazione con Vanni Santoni.
Nel suo libro un narratore fa luce sulle contraddizioni della contemporaneità attraverso l’amicizia, il confronto, l’odio e l’amore per una figura eccentrica, lo scrittore Vittorio Vezzosi. Quanto hanno influito il sapore di Scott Fitzgerald e il suo Gatsby?
«Gatsby è un riferimento obbligato nella letteratura, lo è per tutti gli scrittori della mia generazione: è difficile scrivere un libro senza Gatsby dentro. Questo tentativo disperato e potentissimo di sconfiggere il passato è la cosa più letteraria che ci possa essere. Questa idea di volerlo indietro, di cancellarlo e riscriverlo, finisce per essere la benzina della narrazione».
La sua storia ruota attorno al mondo della letteratura e ai feticci, i social network e i vizi, le disillusioni ed i grandi sogni. Quale dei personaggi del romanzo la rappresenta maggiormente?
«Tutti, proprio tutti. Anzi, il tentativo di far pronunciare a certi personaggi — anche apparentemente negativi — l’indicibile che tutti abbiamo dentro, è una delle soddisfazioni più grandi che ho avuto».
Questo romanzo arriva dopo quattro anni dall’ultimo che ha pubblicato. E pare avere uno stile diverso, più diretto. Che tipo di sforzo ha prodotto per generare una vicenda distante da quelle precedenti?
«È stato più faticoso da scrivere degli altri. Nasce dalla lettera così genuina e completamente sincera che il protagonista scrive alla figlia (che companico,
❞ Nella storia del vecchio scrittore di successo e del giovane neolaureato si intrecciano letteratura, social, vizi e sogni
re nell’epilogo del romanzo, ndr), un testo che pubblicai oramai cinque anni fa. Appena fu edita scrissi subito ad Elisabetta Sgarbi, le dissi che ‘basta, i prossimi libri li volevo scrivere così’. Quando mi accorsi che questa scrittura mi esaltava ho capito quale strada volevo percorre».
Di che scrittura parla? «Una scrittura libera. Spesso gli scrittori sono legati a schemi, a contenersi, ad esser equilibrati e precisi. Non ne avevo più voglia: volevo personaggi che non si trattenessero. Volevo scrivere un libro che mi sarebbe piaciuto molto leggere».
E quindi, cosa c’è di diverso in «La mia ombra è tua» rispetto all’Edoardo Nesi che abbiamo conosciuto?
«Per scrivere i libri che dovevo scrivere avevo bisogno di migliorare dal punto di vista teclo ammetto. Questo tentativo, un pochino, mi costringeva anche. Ho ripensato molto al mio primo romanzo (Fughe da fermo, Bompiani, 1995): voglio tornare a quello spirito».
Emiliano De Vito, voce narrante del romanzo, è un giovane neolaureato in lettere antiche arrabbiato col mondo e senza freni: ciò che ha dentro emerge di fronte a chiunque, senza remore. È facile dire chi ammiriamo e abbiamo letto. Più difficile ammettere chi abbiamo snobbato: può confessarci chi non ha mai letto?
«I francesi me li son tenuti da parte, per leggerli quando sarò più vecchio. Dostoevskij ho deciso di leggerlo dopo i 40 anni: non prima, perché sennò mi avrebbe stroncato…». Il modo che ho di leggere è molto passionale, gli scrittori per me diventano fratelli maggiori o padri. Questo accadde in maniera lampante con Proust: dalla grandezza assoluta non si può imparare, ma si può solo adorare».
Nel romanzo ci sono alcune attenzioni per le mitologie estetiche, le forme, gli oggetti. Uno per tutti, la Jeep. Sono sue o sono proiettate sui personaggi?
«Sono mitologie profondamente mie. Sono convinto sia necessario avere un pantheon personale, sennò sei come gli altri: siamo unici solo nelle passioni e nei vizi che abbiamo».
Le due figure principali del racconto sono persone che si trovano a disagio con la propria generazione. Come mai?
«Mi piacerebbe aver scritto il romanzo anti-generazionale. È ovvio che questo mondo abbia perso il senso comune, che ognuno di noi faccia scelte personali. Quindi i miei sono personaggi perduti, che rappresentano solo se stessi, personaggi che hanno dovuto imparare da soli nonostante le figure di riferimento».
La sua trama subisce una svolta «on the road» a metà libro, una vera e propria mutazione. È stata una scelta stilistica?
«Volevo che il romanzo accelerasse, che divenisse imprevedibile. Una confessione: la primissima versione del libro partiva con il viaggio, era il viaggio. Tutto il resto avveniva nel flash back. Ma mi sono accorto che questa struttura era più convincente».
Il racconto parte (e ritorna) tra le colline che guardano Firenze, dove si trova la magnifica villa del protagonista. Esiste davvero?
«Il posto non esiste, ma volevo che fosse lì. Perché volevo che Firenze aleggiasse in questa sua bellezza scostante: bella, ma che non ti si dà mai davvero. È la sensazione che ho sempre avuto io di questo posto e l’ho voluta trasferire».