Il gioco del cerino che Commisso non può accettare
Per la soprintendenza il progetto di restyling del Franchi presentato da Commisso sarebbe troppo invasivo. Ora cosa succederà? Campi si fa avanti e Firenze rischia di rimanere con un pugno di mosche nelle mani.
Se un regista dovesse tradurre in immagini il dibattito (oramai ultra decennale) sulla costruzione del nuovo stadio a Firenze, potrebbe farlo con un cerino acceso che passa di mano in mano. Da Palazzo Vecchio alla Fiorentina, dalla Fiorentina a Palazzo Vecchio, da Palazzo Vecchio alla soprintendenza, dalla soprintendenza alla Fiorentina. Fino a quando il cerino rimane, oramai consumato, in mano a uno dei tre. Sia chiaro: non siamo ancora a questo punto. Anche perché, nel frattempo, dagli Stati Uniti è arrivato Rocco Commisso, il nuovo presidente viola con la testa americana e il cuore italiano, che sopra quel cerino vuole soffiarci. Per buttarlo via e costruire, finalmente e in tempi accettabili, un impianto sportivo moderno e funzionale al progetto di crescita che ha in mente per la Fiorentina. Ci riuscirà?
Il tira e molla Nardella-Della Valle
Per capire il pantano di oggi bisogna fare un passo indietro di almeno tre anni, anche perché tutto quello che c’è prima è — citando Al Capone negli Intoccabili — solo chiacchiere e distintivo. Prima dell’avvento dell’intraprendente tycoon italo-americano, infatti, i fratelli Della Valle e il sindaco Dario Nardella si sono arenati sul progetto di uno stadio nell’area Mercafir, a Novoli. Dichiarazioni d’intenti, manifestazioni di pubblico interesse, conferenze stampa in pompa magna (10 marzo 2017), rendering e un cronoprogramma che però non è mai arrivato. «La Fiorentina deve solo presentare il piano esecutivo». «No, prima vogliamo garanzie sullo spostamento della Mercafir a Castello». «Stop, lì non ci può andare perché la costruzione della nuova pista dell’aeroporto è stata bloccata». Una partita a risiko senza vincitori né vinti. Fino al giugno scorso, quando, con il cambio di proprietà della Fiorentina si comincia a intravedere una via d’uscita.
Il mantra di Rocco: «Fast, fast, fast»
Appena sbarcato a Firenze, dopo il primo incontro con il sindaco, si capisce subito che Commisso ha le idee chiare e un nuovo stadio lui lo vuole costruire «fast, fast, fast». Ha 70 anni, ha acquistato il club viola, spiega, non per «fare soldi», ma perché è un appassionato di calcio. «A livello di infrastrutture — dice — l’Italia è un po’ indietro e io vorrei lavorare anche in questa ottica. In America non esistono stadi così antichi come il Franchi». E la prima ipotesi su cui lavora è proprio il restyling della struttura negli anni Trenta, progettata dall’ingegnere
Pier Luigi Nervi. A dire il vero lui preferirebbe costruire uno stadio tutto nuovo. Costerebbe di meno (intorno ai 100 milioni rispetto ai 160 del restyling) e sarebbe più funzionale alle esigenze della Fiorentina. C’è sempre in piedi l’alternativa dei terreni nell’area Mercafir. Ma, per il bene della città, mister Rocco è disposto a ristrutturare il Franchi.
Il restyling del Franchi
E il suo progetto, elaborato dall’architetto Marco Casamonti, salverebbe gran parte dell’impianto del 1931: le tribune, la facciata dell’ingresso principale, la torre di Maratona, le tre storiche scale elicoidali. A dover essere abbattuto sarebbe il 30 per cento della pianta originale, ovvero le attuali curve, salvando gran parte del disegno di Nervi e, ancor più decisivo, salvando dall’avanzata del degrado una realtà oggi viva, nel cuore di Firenze. Perché senza calcio, il Franchi diventerebbe un nuovo inutile bubbone, il suo cemento armato dopo pochi anni senza manutenzione rischierebbe di sgretolarsi. E non sarebbe certo il sogno delle organizzazioni delle Olimpiadi insieme a Bologna, a dare un destino certo a uno stadio che senza la Fiorentina difficilmente troverebbe attività e finanziamenti per sopravvivere. Tanto più che il progetto di Casamonti, con la sua teca di vetro, restituirebbe alla vista di Campo di Marte uno stadio ora massacrato da una tetra cancellata verde.
Il quasi «no» della soprintendenza
Ma quel 30 per cento da buttare giù è «troppo» per una soprintendenza che invece ha autorizzato i famosi pali della tramvia ad oscurare la basilica di Santa Maria Novella o i dehors simili ai catafalchi di Trespiano in piazza della Repubblica. «Noi — ha detto ieri a La Nazione il soprintendente all’Archeologia, alle Belle Arti e al Paesaggio, Andrea Pessina — abbiamo dato una grande apertura a trasformazioni dello stadio Franchi. Ma il progetto che ci è stato presentato lo snatura perché prevede la demolizione delle curve. Abbiamo fatto la settimana scorsa anche un sopralluogo con il direttore generale del ministero, Federica Galloni. Non ci sono decisioni definitive ma anche lei ha espresso contrarietà all’abbattimento di una gran parte della struttura». La soprintendenza vorrebbe una soluzione più soft, magari con la costruzione di nuove curve davanti a quelle già esistenti. Soluzione che però non piace a Commisso. In realtà, il patron viola con la sua risolutezza nel chiedere una risposta in tempi brevissimi al Comune (entro fine anno vorrebbe avere un’indicazione certa sul luogo dove poter costruire) sta facendo saltare il gioco del cerino. E ora, alla luce dell’iter tutt’altro che semplice per la coesistenza della Mercafir (il mercato ortofrutticolo) e di un nuovo impianto sportivo a Novoli, Firenze rischia di rimanere con un pugno di mosche nelle mani. Il sindaco di Campi, Emiliano Fossi, si è fatto avanti con la Fiorentina a gran voce. Nel suo Comune c’è un’area di 30 ettari dove poter avviare il progetto senza particolari intoppi burocratici. E se il patron viola dovesse perdere la pazienza, oltre al mega centro sportivo a Bagno a Ripoli (per il quale, a quanto pare, manca solo l’annuncio definitivo), potrebbe decidere di puntare tutto sulla Piana.
Il pericolo di un Franchi abbandonato
Non serve molto, basta una manciata di anni a trasformare un edificio abbandonato in un «bubbone» che porta degrado e insicurezza in un intero quartiere. Sei anni fa, fu l’allora priore della basilica di San Lorenzo, monsignor Angiolo Livi, a usare quell’espressione per definire l’ex monastero trecentesco di Sant’Orsola, abbandonato dai primi anni Novanta quando la Guardia di Finanza rinunciò a farne la propria sede, abbandonando un cantiere aperto alla fine degli anni Ottanta.
Poco fuori Firenze, a Pratolino, nel 1939 veniva inaugurato uno degli esempi di architettura ospedaliera più significativi d’Italia, il Sa
❞ Intoppi Il progetto firmato dall’architetto Marco Casamonti prevede l’abbattimento di gran parte delle curve. Per la soprintendenza è troppo e propone una soluzione più soft che però non piace a Commisso
natorio Banti. Destinato ai malati di tubercolosi, è rimasto attivo con altre funzioni assistenziali fino al 1989. Oggi, l’edificio firmato dai progettisti Lorenzo Giocoli e Felice Romoli, rimasto privo di manutenzione, cade a pezzi. E l’Asl Toscana Centro è costretta a spendere soldi (pubblici) per la vigilanza, per evitare che occupanti di fortuna rischino la vita sotto le travi e i solai pericolanti.
Per restare agli impianti sportivi rimasti senza un destino, a Firenze c’è l’ippodromo de Le Mulina alle Cascine, dove lo stato d’abbandono è stata una delle cause solo nel giugno scorso di un maxi incendio fermato a fatica dai vigili del fuoco. Accanto, l’altro ippodromo, il Visarno, è riuscito a riciclarsi: le corse di cavalli scarseggiano, ma per lo meno è diventato il cuore del Firenze Rocks che lo rianima una volta all’anno. In Italia, un caso di scuola è quello dello stadio Flaminio di Roma. Nato nel 1959 al posto dello stadio Nazionale del 1911, e progettato da Antonio Nervi (con la collaborazione del padre Pier Luigi, lo stesso dell’Artemio Franchi di Firenze, che evidentemente a Roma non si peritò di demolire un impianto di quasi 50 anni più antico). Diventato la casa del rugby della Capitale, nel 2000 iniziò ad ospitare il Sei Nazioni. Ma dal 2012 il torneo delle più importanti Nazionali d’Europa si è spostato all’Olimpico. Col risultato che il Flaminio oggi cade a pezzi: muri scrostati, intonaco che cade a pezzi, rifiuti nell’erba alta un metro, le scale pericolanti per le infiltrazioni. Così, il parcheggio esterno è diventato un accampamento di furgoni e camper di disperati, mentre all’interno, solo l’anno scorso, è morto un senza tetto. Tra chi si oppone ai piani di ristrutturazione proposti dal Comune di Roma, compreso uno firmato Renzo Piano, c’è anche la Fondazione Pier Luigi Nervi, che si appella all’articolo 10 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio che fa sì che, trascorsi 50 anni dalla realizzazione, l’edificio diventi tutelato. Una storia simile, ma con un finale diverso, è quella dello stadio Filadelfia, simbolo del Grande Torino degli anni Quaranta. Il calcio salutò l’impianto nel 1963 e il calcestruzzo, malgrado varie e costose ristrutturazioni, senza manutenzione dava vita a continui crolli. Ma dal 2017 è tornato il campo degli allenamenti del Torino. Cancellando il degrado dall’intero quartiere.
L’esempio di altre città europee
Eppure il possibile «no» per un 30 per cento da abbattere appare difficilmente spiegabile se si guarda a quello che è successo, anche negli ultimi anni, in altre città europee. L’architettura vive e ha un senso, fintanto che serve. E non c’è bisogno di guardare agli Stati Uniti dove interi palazzi e quartieri vengono demoliti e ricostruiti nel volgere di pochi anni. E dove le società sportive vengono trasferite da un lato all’altro del Paese, persino da New York a Los Angeles («ma in Italia non si può fare», spiegò poche settimane fa Rocco Commisso al Corriere Fiorentino). È più che sufficiente restare nella vecchia Europa, pur con il suo attaccamento ai simboli, la sua difesa dell’architettura storica, per capire che demolire per ricostruire e adattare ai tempi, spesso è meglio che abbandonare un impianto al proprio destino.
Gli inglesi non hanno avuto alcun dubbio quando si è trattato di demolire e ricostruire Wembley, non uno stadio qualunque (assieme al Maracanà di Rio è il più importante al mondo). La casa della Nazionale d’Oltremanica nacque nel 1923: immensa, con un unico grande anello di gradinate capace di accogliere fino a 127 mila spettatori. Nel 2002 iniziò l’opera di demolizione per costruire ex novo un impianto più moderno e adatto al calcio, inaugurato nel 2007, senza la vecchia pista d’atletica. Gli inglesi probabilmente hanno esagerato demolendo anche le due storiche torri gemelle, le twin towers, malgrado un vincolo architettonico che risaliva al 1976. Il motivo? Confliggevano col progetto. E a Londra il calcio viene prima di tutto. Sorte invece lontana dal calcio per il vecchio stadio dell’Arsenal, Highbury, abbandonato nel 2006 per il nuovo e modernissimo Emirates: oggi ospita appartamenti. Del vecchio impianto del 1923 sono state salvate solo parte delle mura. Stessa sorte residenziale per il Boylend Ground del West Ham, datato 1904: gli Hammers nel 2016 si sono trasferiti allo Stadio Olimpico di Londra che, quattro anni dopo i Giochi, rischiava a sua volta di restare una cattedrale nel deserto.
Vizio degli inglesi? Non sembra. In Francia lo stadio del Paris Saint Germain, il centralissimo Parco dei Principi, è un impianto inaugurato nel 1897. Ma era un velodromo, che «ospitava» anche rugby e calcio. Dopo decenni di successi, lentamente le corse su pista delle due ruote diventano meno popolari. Così, dal 1967 al 1972 il Parco dei Principi è stato stravolto per far sì che la sua vocazione diventasse il calcio.
Anche a Madrid c’è un caso simile: lo stadio Peineta fu inaugurato nel 1994, con un destino polisportivo, tra atletica, squash, centro termale, palestre, piscina, centro di arti marziali. Un fiasco, dieci anni dopo cadeva già a pezzi perché ormai per gran parte inutilizzato, tanto che tra le ipotesi di rilancio del «Pettine» ci fu quella di farne lo stadio olimpico. Ma Madrid ha sempre perso ogni candidatura per organizzare la kermesse dei cinque cerchi. Così, quattro anni dopo l’impianto viene affidato all’Atletico Madrid, che nel 2017 ha inaugurato il suo nuovo stadio, il Wanda Metropolitano, ovviamente con la demolizione di tutto quel che esisteva prima. E il Vicente Calderon, la vecchia casa dell’Atletico? L’impianto del 1966 è in fase di demolizione dal febbraio scorso: al suo posto nascerà un parco.