MA ADESSO LO STATO NON LASCI SOLI I MEDICI
«Dovere del medico è la tutela della vita, della salute psicofisica dell’uomo, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana». Così recita l’articolo 3 del codice di deontologia medica.
Che identifica le regole fondamentali sulle quali si basa la nostra professione. «Il medico segue da millenni un paradigma che vieta di procurare la morte al paziente, vedendo nella morte un nemico e nella malattia qualcosa da sanare: mai si è pensato che la morte potesse diventare un alleato e che potesse risolvere la sofferenza della persona». Queste in estrema sintesi le parole della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo), chiamata in audizione presso le commissioni riunite Giustizia e Affari Sociali della Camera dei Deputati, il 30 maggio scorso. Nell’ottobre del 2018 la Corte Costituzionale aveva infatti chiesto, con una ordinanza al nostro Parlamento di promulgare entro un anno una legge in tema di suicidio assistito e eutanasia che, in maniera organica, esprimesse un giudizio di legittimità costituzionale sull’articolo 580 del Codice Penale, che prevede il divieto assoluto dell’aiuto al suicidio, oggi punito in qualsiasi caso con una pena fino a 12 anni. Era doveroso quindi da parte dei nostri parlamentari ascoltare il parere dei medici così come quello del Comitato Nazionale di Bioetica, prima di discutere e promulgare una legge. Come è a tutti noto, il nostro Parlamento negli ultimi mesi è stato in tutt’altre faccende affaccendato e, due giorni fa, la Corte Costituzionale si è espressa depenalizzando l’aiuto al suicidio, se pure in casi limite nei quali il paziente sia affetto da una «patologia irreversibile, fonte di sofferenze intollerabili, tenuto in vita artificialmente ma capace di prendere decisioni libere e consapevoli», come nel caso di dj Fabo. Come la pensano i medici? Il medico all’inizio della propria vita professionale presta un giuramento (il cosiddetto giuramento d’Ippocrate, oggi meglio definito come giuramento professionale) con il quale si impegna ad attenersi a numerosi principi di etica medica: fra questi fondamentale è quello di non compiere mai atti finalizzati a procurare la morte dei propri pazienti. I medici quindi continueranno come sempre a essere vicini ai propri pazienti e alle loro famiglie, a cercare in scienza e coscienza di dar loro risposte e aiuto fisico e morale, soprattutto nel fine vita. Assolveranno il loro dovere-missione di vicinanza e conforto assicurando al malato i migliori ausili possibili accompagnandolo con le cure palliative, con la terapia del dolore, con la sedazione profonda medicalmente indotta, attività queste consentite al medico dai propri principi deontologici. Tutto questo nel profondo rispetto della dignità del morente. I medici però chiedono con forza allo Stato di tutelare la possibilità di poter esprimere obiezione di coscienza, di assumersi la responsabilità dell’atto finale. In altre parole, chiedono che, nei casi limite previsti dalla Corte Costituzionale, certificati ovviamente dai medici, sia un rappresentante dello Stato a prendere atto della sussistenza di tutte le condizioni e a procurare al paziente il farmaco che dovrà assumere per togliersi la vita. Il medico non abbandonerà il proprio paziente e i suoi familiari nel momento della morte, ma non vuole andare contro ai principii millenari del proprio giuramento professionale.
❞ Chiediamo che, nei casi previsti dalla Consulta, sia un rappresentante dello Stato a prendere atto della sussistenza di tutte le condizioni e a procurare al paziente il farmaco per togliersi la vita