Goncharova, artista totale
La prima monografica italiana sull’enfant terrible dell’avanguardia del ‘900 Dalla Russia a Parigi la biografia per immagini di una donna sempre controcorrente
Non è difficile immaginare come può essere andato il suo incontro con Marinetti nel febbraio del 1917: lui che odiava la lentezza, denigrava il passato, esaltava il rombo del motore, la velocità del mondo, il rumore delle città e l’effetto purificatore della guerra. Mentre lei, Natalia Goncharova, immaginava la pace, una ritrovata «preistoria» dell’esistenza umana, sognava di vivere in campagna e vestiva in abiti ottocenteschi. Due facce della stessa medaglia, il Futurismo e dintorni, che la mostra Natalia Goncharova. Una donna e le avanguardie tra Gauguin, Matisse e Picasso dimostra di sapere rappresentare e raccontare con grande naturalezza.
L’esposizione che da domani al 12 gennaio è possibile ammirare a Palazzo Strozzi è la prima monografica italiana e la seconda in assoluto fuori dal territorio russo di questa artista eccezionalmente prolifica e intrigante: è stata la prima performer della storia dell’arte, la prima a essere censurata per i nudi, una protofemminista, la prima a usare il suo stesso corpo come una tela, ma soprattutto la prima donna a imporsi in un mondo dell’arte fino a quel momento completamente appannaggio dell’universo maschile. Il suo senso e ricerca di pace traspare limpidamente da quasi ogni opera esposta, e in special modo dal dittico sulla Brina del 1910-1911, dalla tela Contadini che raccolgono le mele sempre del 1911. Ma anche nei soggetti religiosi come il polittico degli Evangelisti che nel 1914 a San Pietroburgo sconvolse il pubblico e fu ritirato dalle autorità, e in quelli a tema naturalistico.
Centotrenta opere che spaziano dal disegno alla pittura, dagli abiti ai lavori per cinema e teatro, e che vanno a comporre una retrospettiva capace di ripercorrere la vita controcorrente e la produzione di questa grande protagonista del Novecento — incredibilmente poco conosciuta in Italia — a confronto con celebri artisti che sono stati per lei punti di riferimento: Paul Gauguin, Henri Matisse, Pablo Picasso, Umberto Boccioni. La mostra stessa è un viaggio che parte dalla campagna russa e arriva a Mosca, città della sua formazione, poi Parigi, dove scelse di vivere e dove realizzò i celebri costumi per i Ballets Russes di Sergej Djagilev, passando per la piccola parentesi italiana, dove lavorò molto in ambito teatrale. È una sorta di «biografia per immagini» come la definisce Ludovica Sebregondi, curatrice della mostra in collaborazione con Matthew Gale e Natalia Sidlina della Tate di Londra e si avvale di prestiti dalla Galleria Tretyakov di Mosca, dal Museo Statale di San Pietroburgo, dalla Tate, National Gallery, Estorick Collection, Victoria and Albert Museum di Londra, dal Museo del Novecento e Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco e dal Mart di Rovereto.
«La capacità di coniugare la modernità alla Russia della sua infanzia e giovinezza fa di Natalia Goncharova una donna all’avanguardia in tutto: dall’arte alla vita privata — la descrive così la curatrice Ludovica Sebregondi — fino all’aver praticamente inventato la body art utilizzando il suo volto come una tela dipinta per sconvolgere il mondo borghese dell’epoca». Temi come la modernità e il futuro sono stati allestiti da Sebregondi in chiavi e colori diversi in sale attigue per creare uno «stacco» visibile tra il modo russo e quello italiano di leggere gli stessi fenomeni, cari al primo Novecento: «Non solo perché Natalia crede nella modernità ma fino a un certo punto, a partire dall’idea della guerra, per non parlare del rapporto con le donne: la misoginia italiana da una parte e le “amazzoni dell’avanguardia” dall’altra».
Dopo la serie di sale «biografiche» su Natalia, coloratissime, dall’arancione al rosa mattone all’azzurro, arrivano le sale grigie, «neutre», con le opere degli artisti a cui lei guardava con maggiore interesse. Natalia Goncharova tra i suoi tanti primati ha anche quello come vittima di censura per i suoi nudi. Dopo un secolo, la storia non è cambiata: il video di lancio della mostra, con un nudo molto «soft», è incorso nella censura di Instagram. Per un paio di giorni. «Poi abbiamo fatto pace», ha commentato il direttore di Palazzo Strozzi, Arturo Galansino, tanto che ora è stato creato uno speciale filtro Instagram con cui dipingersi la faccia alla sua maniera.
«Un anno fa abbiamo ospitato la mostra di Marina Abramovic — ha aggiunto Galansino — la prima artista donna della storia di Palazzo Strozzi. Proseguiamo su questa strada». La mostra ha il sostegno di Comune, Regione e Camera di Commercio, il contributo di Fondazione CR ed è sponsorizzata da Mario Luca Giusti. «Nel fruttuoso connubio tra pubblico e privato — ha chiosato il neo presidente di Palazzo Strozzi, Giuseppe Morbidelli — riusciamo a lavorare per gran parte con risorse di capitale privato: con oltre il 40% proveniente da biglietti e merchandising. Una grande realtà come Brera arriva solo al 18%».