«Io, Vasari e i nove artisti che ho scelto per Arezzo»
Da Botticelli a Piero della Francesca: Carabba racconta gli artisti che ha scelto per le letture al Palazzo di Fraternita e l’importanza degli aneddoti
Oggi (alle 18,30) alla Casa della Musica di Arezzo nel Palazzo di Fraternita si tiene il secondo appuntamento dedicato alle letture delle «Vite» del Vasari riscritte per il «Corriere Fiorentino» da Enzo Fileno Carabba. Dopo Cimabue, Giotto e Buffalmacco si ascolteranno, lette da Giovanni Pruneti con l’accompagnamento musicale di Alda Dalle Lucche e Giulia Fidenti (saxofono), le storie di tre grandi artisti: Masaccio, Filippo Lippi e Botticelli. L’ultimo appuntamento sarà il 3 ottobre con Piero della Francesca, Luca Signorelli, Bartolomeo della Gatta.
Le vite sono molte ma La Vita è una. Ogni esistenza particolare rappresenta la sfaccettatura di un insieme complesso. I personaggi sono collegati tra loro e — quando per un attimo lo percepisci — appare un arazzo sfolgorante. Scegliere nove vite tra tante non può che essere un atto arbitrario. Ma anche l’arbitrio ha le sue ragioni. Eccone alcune. Per queste letture ad Arezzo ci siamo limitati ad artisti del Tre e Quattrocento. Per non esagerare. Lasciamo il Cinquecento — un secolo veramente grosso — a un’altra occasione. Giotto e Cimabue li abbiamo scelti perché abbiamo bisogno di pilastri. In questo caso parliamo di pilastri sfuggenti (un tipo raro di pilastro) dato che se ne sa meno di quel che si crede. Buffalmacco è stato invitato perché sa ridere e scherzare, virtù di cui abbiamo bisogno più che dei pilastri. Masaccio perché ha cambiato la pittura occidentale. Filippo Lippi per la sua vita avventurosa e perché sapeva farsi perdonare. Botticelli per la soavità mentale, condizione psichica invidiabile, anche se a volte può sfociare in crolli rovinosi. Nell’ultima serata, in omaggio alla città che ci ospita, avremo tre autori aretini, nel senso che sono nati nel territorio di Arezzo o che ci hanno lavorato intensamente. Piero della Francesca, secondo quella forma di leggenda chiamata Storia, ha evitato il bombardamento di Sansepolcro nella seconda guerra mondiale. Luca Signorelli ha fatto scattare in Sigmund Freud la scintilla che lo ha portato a elaborare una teoria che ha cambiato il mondo e dato lavoro a tante persone. Inoltre Signorelli era parente di Vasari e lo incoraggiò molto (racconta Giorgio). Ci piace poi concludere con Bartolomeo della Gatta, che ha dipinto San Rocco davanti al Palazzo della Fraternita, opera che da qualche tempo è tornata alla Fraternita. Per il momento Bartolomeo della Gatta è meno famoso degli altri ma ci auguriamo che in futuro le cose cambino. È rimasto in ombra qualche secolo non per una differenza di valore ma solo perché (pur essendo nato a Firenze) scelse di dipingere soltanto nel territorio aretino, a parte qualche lavoro altrove come per esempio la Cappella Sistina.
Questi racconti si ispirano rispettosamente a Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, di Giorgio Vasari. Il titolo dice Le Vite e non Le opere. Il dettaglio è significativo. Infatti ogni capitolo copre l’intero arco di un’esistenza umana e ne cerca il senso. Quando vivi la tua vita, trovare il senso è difficile. Più comodo e sicuro cercarlo con calma in quella degli altri. L’interesse che Vasari mostra per gli altri è enorme, proprio per questo si ritiene in diritto di ritoccarli. È per me istruttivo raccontare le varie vite in un numero sempre uguale di battute. Queste vite, soprattutto quelle del Trecento, presentano dei vuoti molto attraenti: spesso non si sa cosa sia successo (non lo sapeva neanche Vasari) e le zone d’ombra, a volte enormi, sono un invito all’invenzione. Mentre scrivevo la vita di Cimabue ho fatto un sogno: c’erano dei miei amici che per gioco indossavano una maschera terribile, ma quando se la toglievano il loro volto continuava a essere rigido come una maschera di legno. L’incubo era troppo ben disegnato per le mie possibilità. Sono convinto che me l’abbia mandato Cimabue per descrivere i suoi rapporti con certi aspetti rigidi della pittura bizantina e allora ho dovuto metterlo nel racconto. Ho poi letto che nel libro Momo, di Leon Battista Alberti, gli uomini divenuti mostri mettono sul viso maschere di fango, per nascondere agli altri la propria trasformazione. Ci sono storie che passano da una persona all’altra, attraverso immagini dipinte o sognate. Più cercavo di avvicinarmi a Giotto e più rotolava via, un personaggio enorme, inafferrabile: un oggetto misterioso, liscio, troppo tondo. Penso che cercare di farlo smettere di rotolare bloccandolo con episodi significativi (veri o inventati) sia stato, da parte di Vasari, un segno di saggezza. Questi episodi significativi vengono chiamati aneddoti. Di solito lo studioso disdegna l’aneddoto, come sede di facile superficialità adatta al volgo. Ma spesso è proprio nell’aneddoto la chiave segreta del senso. Del resto, già la parola aneddoto è ingiustamente dispregiativa. Se per esempio li chiamassimo parabole – perché sono parabole – tutto cambierebbe. Quale studioso oserebbe dire: «Senti Gesù, basta con i tuoi aneddoti, passiamo all’indagine storica e stilistica». Naturalmente, trattandosi di artisti, incappare in qualche opera è inevitabile. Ma La Vita rimane il centro del discorso.
❞ L’interesse che Vasari mostra per gli altri è enorme, e proprio per questo si ritiene in diritto di ritoccarli Le zone d’ombra a volte sono tante e sono un invito all’invenzione