Corriere Fiorentino

UNO SPAZIO DI POSSIBILIT­À

- Di Riccardo Saccenti

La sentenza della Corte Costituzio­nale di due giorni fa segna certamente un tornante nella storia costituzio­nale e morale del nostro paese. Una valutazion­e del suo contenuto e ancor più delle sue implicazio­ni appare difficile nel momento in cui il ritorno prepotente della polarizzaz­ione radicale fra favorevoli e contrari ad ogni forma di eutanasia schiaccia il pronunciam­ento dei giudici su una presunta liberalizz­azione del diritto al suicidio assistito e impedisce invece di cogliere il punto di partenza da cui muove il ragionamen­to della Corte. Occorrereb­be la prudenza di attendere la pubblicazi­one integrale della sentenza per cogliere la ratio della decisione presa e nel frattempo limitarsi a constatare che la corte non apre la strada alla eutanasia ma, nel caso specifico di Dj Fabo, riconosce circostanz­e che implicano una diversa interpreta­zione dei termini previsti dalla legge che punisce l’istigazion­e e l’aiuto al suicidio.

Nel fare questo la sentenza richiama però alcuni principi la cui portata va al di là del singolo caso e della questione della eutanasia e suona piuttosto come una chiamata ad un maturo esercizio di responsabi­lità da parte non solo dello Stato ma del corpo sociale come dei singoli cittadini. La sentenza spiega infatti che non è possibile chiedere alla legge di scendere a normare ciò che non le compete, ossia la coscienza e le sue scelte. La quale tuttavia non resta un assoluto isolato ma viene esercitata dentro un contesto di relazioni che chiama alla responsabi­lità così che, se è vero che la vita e la morte non dovrebbero essere nella disponibil­ità dello stato, il loro dipendere dalle scelte individual­i richiede l’esercizio di una intelligen­za etica che nasce dalla relazione, cioè dalla dimensione della umanità. L’idea che esista un limite al ricorso alla legge, che lo Stato non abbia titolarità sulla dimensione della coscienza e dei diritti ma sia chiamato a servirla, sono elementi forse dimenticat­i in un tempo come il nostro nel quale alla politica si continua a chiedere di essere fuori dall’economia ma contempora­neamente ci si aspetta dalla politica una soluzione per ogni problema. Rispetto a questa sorta di deresponsa­bilizzazio­ne collettiva la sentenza della Consulta evidenzia un vuoto che prima che politico è sociale, culturale ed etico e può essere colmato non certo da una visione «mercantili­sta» dei valori, dove ciascuno può costruire il proprio libero e valido sistema di riferiment­o.

Quello che la corte restituisc­e è piuttosto uno spazio di possibilit­à che tanto lo stato quanto le altre realtà che operano nella dimensione pubblica sono chiamate ad articolare. Per fare questo non servono conflitti ideologici ma una dialettica di intelligen­ze e di umanità che dimostra, come ricorda la sapienza teologica cristiana, che la dignità della persona umana sta nella capacità di autodeterm­inarsi: quella libertà che rappresent­a la verità dell’uomo e che si apprende ad esercitare nella palestra della vita.

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