STORIE DI DONNE NELL’ARTE DEL ‘900
Alla Galleria Marletta «sfilano» madri, amanti, attrici nella mostra a cura di Monica Cardarelli della Galleria Laocoonte. Balla, Guttuso, Afro, Maccari tra capolavori e rarità. Da vedere anche oggi, alla «Notte Rosa» di via Romana
C’è la donna «tipo tre», quella emancipata che alla fine degli anni ‘20 scopre il mondo del lavoro, ha i capelli alla maschietta, e veste un abbigliamento pratico. L’ha raccontata Umberto Notari e l’ha dipinta Enrico Sacchetti. C’è la pittrice Adriana Pincherle ritratta da Afro nel 1946 che sembra l’immagine ante litteram della disneiana Madame Adelaide degli Aristogatti. Ci sono le donne oggetto, tutte natiche e mammelle e dal design alla Moore, che circondano la testa di un emiro nel tratto fluido del giornalista e scrittore Dino Buzzati e c’è il bozzetto in legno scolpito Talia, la musa della Commedia che Antonio Marani realizzò nel 1922 per il boccascena dell’allora Teatro Savoia, oggi Cinema Odeon. Solo alcune delle cento opere della mostra XX il genere femminile nell’arte del ‘900 italiano aperta fino al 2 ottobre nelle sale della Galleria Marletta in piazza San Felice a Firenze. Una rassegna itinerante (le prossime tappe saranno a Milano, Roma e Londra) a cura della Galleria del Laocoonte con sede a Roma e Londra, che ha scelto Firenze per il suo debutto e che è anche uno degli appuntamenti culturali della Notte Rosa in programma oggi in Via Romana. «Questa mostra — racconta Monica Cardarelli direttrice della Galleria del Laocoonte — ha l’obiettivo di far sfilare immagini di donne che raccontano più storie. Quelle legate al soggetto e quelle legate all’autore o all’autrice». Tra nomi famosissimi come Giacomo Balla, Marino Marini, Mino Maccari e Renato Guttuso con un acquerello con la testa di Medusa ispirato a Caravaggio, non mancano autori poco noti. «Mi piace documentare come il ‘900 abbia saputo vedere attraverso gli occhi di artisti uomini ma anche donne il genere femminile nelle sue più diverse rappresentazioni e trasfigurazioni. Il titolo gioca sulla grafia della lettera capitale e il numerale romano per cui XX è sia il gene che determina il sesso di una donna che quel Ventesimo secolo che più di altri ha visto mutare il ruolo, lo stato e l’aspetto della condizione femminile», spiega Cardarelli. Autoritratti, sculture e disegni restituiscono così l’im
magine di madri, amanti, attrici e donne gioiose e tristi, sottomesse o emancipate. A testimoniare il fermento di un periodo di passaggio per il genere femminile anche il lavoro di artiste poco conosciute. C’è l’acquerello la Pace di Fides Stagni, la prima pittrice futurista ad usare l’aerografo, che fu anche attrice e volto per Fellini in Amarcord della professoressa di storia dell’arte che insegna la prospettiva di Giotto. E c’è un’opera di Lila De Nobili. «Fu scenografa per i grandi come Zeffirelli, e costumista: fu lei a vestire la Hepburn in Gigi, ma anche Piaf, Bergman e Callas per cui disegnò un bellissimo abito di Violetta per
La Traviata esposto proprio in questa mostra».