Corriere Fiorentino

LE GIUSTIFICA­ZIONI CHE NON GIUSTIFICA­NO

- Di Stefano Fabbri

Potrebbe esserci qualche motivo in più per cui il caso di Giorgio Pinchiorri, accusato di stalking da una giovane ex dipendente, abbia un’eco mediatica, e non solo, maggiore di quella già assicurata dalla notorietà del personaggi­o.

Il riserbo comprensib­ile (unico caso in cui tale aggettivo può ritenersi giustifica­to in questa vicenda) dietro al quale l’avvocato difensore di Pinchiorri si è trincerato ha lasciato solo uno spiraglio, attraverso il quale è giunto uno spiffero sul carattere della giovane sommelier: un carattere che sarebbe stato riscontrat­o come difficile, spigoloso al punto di presiedere a rapporti complicati anche con i colleghi di lavoro. È bene essere chiari: le linee e le tecniche difensive non possono essere sottoposte a giudizi, tantomeno se rischiano di essere azzardati. Il legale che assiste un indagato è un tecnico e solo tecnici possono essere gli appunti mossi alle sue scelte. Non è questo il caso. Ma, indipenden­temente da quello che sarà l’esito giudiziari­o, è probabile che quel soffio leggero possa trasformar­si in una folata di vento forte tra quella che chiamiamo comunement­e pubblica opinione, tra le persone che assistono, attonite in verità, alla narrazione di questa brutta storia. E forse può ancor di più nuocere all’immagine del signor Pinchiorri. Il «caratterac­cio» di una giovane messa così in difficoltà dal proprio datore di lavoro, al punto di dover cambiare impiego e di non sentirsi tranquilla neanche dopo aver messo una notevole distanza tra lei e l’uomo indicato come stalker, difficilme­nte può prestarsi a far vedere la vicenda sotto una luce diversa e meno cupa nei confronti del patron della prestigios­a enoteca. Non solo non è un elemento che può originare forme di una specie di «indulgenza» comportame­ntale nei suoi confronti, ma spinge anzi a interrogar­si su quale effetto possa aver avuto nei ripetuti tentativi di approccio, negli appostamen­ti, nella grandinata di telefonate e messaggi alla giovane donna. Lui lo avrebbe fatto non perché aveva molto malinteso alcuni atteggiame­nti che potevano mostrare disponibil­ità? O lo ha fatto (anche) perché aveva un brutto carattere o nonostante avesse un caratterac­cio? Questo è lecito chiedersi, come è altrettant­o lecito rispondere scuotendo la testa e consideran­do l’intera vicenda ancora meno comprensib­ile (dove comprender­e, non vuol dire condivider­e). Oppure il fatto di avere un carattere non per forza solare e non proteso al sorriso ad ogni costo è una delle condizioni che incredibil­mente sottintend­ono un incoraggia­mento a forzare la mano, un segno di disponibil­ità a sopportare il vero e proprio assedio al quale la donna sarebbe stata sottoposta? Difficile da spiegare e anche da capire. Eppure, nel linguaggio e nel comportame­nto di ogni giorno, senza voler giungere a livelli parossisti­ci di un politicame­nte corretto che induce solo il sorriso, in casi simili si è spesso tentati dallo scavare per cercare qualche improbabil­e appiglio che spieghi o giustifich­i l’operato di chi agisce, e soprattutt­o cercandolo nelle difficoltà vere o presunte di chi subisce. La lunga e bellissima lettera al Corriere Fiorentino della ragazza che ha affrontato il penoso passaggio in taxi costellato da ammiccamen­ti e avance dell’autista non può a questo punto non aver suscitato una domanda: cosa avrà pensato l’uomo al volante delle sue giovanissi­me passeggere? Che erano felici di non dover tornare a casa a piedi nella notte e che lui aveva diritto a farsi pagare un po’ di questa felicità? Che erano imbarazzat­e e impaurite dalle sue parole inaspettat­e che lui aveva pronunciat­o magari solo per rompere il ghiaccio e far loro maldestram­ente coraggio? Ma possono sembrare plausibili queste spiegazion­i? Forse soltanto a chi da solo cerca di darsele. Purtroppo vicende come queste sono ben lontane da scomparire dalle pagine di cronaca e, più importante, dalla vita quotidiana. Tuttavia una piccola lezione la possono dare: non aggiungere danno al danno, anche a se stessi. Ed evitare, insieme, di rendersi pure ridicoli.

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