Corriere Fiorentino

Si parte (quasi) da zero: servono stadio e palazzetti Per un mese e poi?

- Giulio Gori

Firenze e Bologna dovrebbero partire quasi da zero. E costruire cattedrali che, dopo le Olimpiadi, rischiereb­bero di restare senza un destino. Agli ultimi Giochi, disputati a Rio de Janeiro nel 2016, sono stati utilizzati 36 impianti sportivi, definitivi o provvisori. L’opera più imponente è lo stadio olimpico Joao Havelange, creato ex novo per l’atletica leggera, con 45 mila posti. Ma si tratta di una struttura ridotta rispetto alle normali necessità di un’Olimpiade, perché Rio ha invece tenuto le manifestaz­ioni d’apertura e di chiusura dei

Giochi nello storico stadio Maracanà, da 78 mila spettatori. E se il Renato Dall’Ara di Bologna e l’Artemio Franchi di Firenze porteranno avanti i progetti per avvicinare gli spalti al campo, togliendo lo spazio alla pista d’atletica (al Franchi già non c’è dal ‘90), servirebbe un nuovo impianto con l’anello da 400 metri, senza saperne cosa farne dopo i Giochi. A Rio, tra le opere cui non è stato trovato un destino, c’è la Jeunesse Arena, un impianto coperto destinato solo a ginnastica artistica e ritmica, con 15.000 posti, che oggi ospita saltuariam­ente concerti. O come il semi inutilizza­to centro olimpico per il tennis, con 16 campi da gioco e col più importante, lo stadio Maria Bueno, da 10.000 posti. Se una città da oltre 6 milioni di abitanti non riesce a sfruttarli, per due cittadine — Firenze e Bologna — che assieme non arrivano 800mila lo spreco sarebbe ancora più evidente. Si dovrebbe fare come a Rio con lo stadio Acquatico, costruito già con l’obiettivo di demolirlo subito dopo i giochi. Perché il rischio di innalzare cattedrali nel deserto è alto, visto che l’Olimpiade richiede impianti importanti anche per sport con pochissimo seguito come l’hockey su prato (ospitato nel 2016 da due stadi da quasi 12.000 posti totali). Pensare che una piscina da 50 metri, come la Costoli di Firenze, andrebbe bene solo per la prova di stile libero del Pentathlon moderno. Ma per il nuoto, il dorso ha bisogno di una struttura coperta, col soffitto a dare riferiment­i agli atleti. Tra gli sport minori, l’esempio di Rio ci ricorda il caso delle Arene Carioca 2 e 3: impianti da 10.000 posti ciascuno dedicati a lotta, judo e taekwondo. L’emblema dello spreco è stato però il Parque Radical (in foto), 50 ettari per bmx, canoa slalom e mountain bike, con tanto di due fiumi da 25 milioni di litri d’acqua e una montagna artificial­i. A Firenze, l’unico spazio libero abbastanza grande sarebbe a Castello dove qualunque progetto si è arenato dagli anni ‘90 in poi. A Rio, sono state anche realizzate strutture meno impattanti, con tribune di tubi Innocenti per il beach volley, il canottaggi­o, la vela, il ciclismo su strada o la maratona. E anche nel caso dell’impianto unico per pugilato, badminton, sollevamen­to pesi e ping pong, gli organizzat­ori sono stati in grado di convertire provvisori­amente il Riocentro, una sala congressi già esistente. In questi casi sarebbe possibile replicare la scelta low cost. Ma non tutto si può smontare e dell’ultima Olimpiade resta semi inutilizza­to anche il campo da golf da 97 ettari. Ma in Brasile, a differenza che in Italia, è uno sport popolare. Costo degli impianti nel 2016: 4,5 miliari di dollari. E pensare che Rio molte strutture, come il Maracanà o il Maracanazi­nho (il cugino per la pallavolo, il doppio dei posti del Mandela Forum), le aveva già.

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