Corriere Fiorentino

«Quell’hospice chiuso e noi lasciati soli»

La lettera di una donna che ha dovuto affrontare senza aiuti gli ultimi giorni della madre

- Di Priscilla Taddei*

Gentilissi­mo direttore, vorrei aprire questa mia lettera con una chiosa dell’assessore Saccardi, espressa dal palco di «Corri la Vita, la stessa che ho espresso io in questa mia lettera del 25 settembre. «Quando sta male una donna, sta male tutta la famiglia». Ebbene, quando muore una donna, muore una parte di quella famiglia e se la famiglia viene lasciata sola viene lasciato solo anche il paziente.

E, come si lascia morire solo un paziente, è come lasciare morire soli tutti i pazienti, se è troppo tardi per salvarli. Questa è la lettera che ho inviato al governator­e Enrico Rossi.

Gentilissi­mo presidente Rossi, le scrivo per chiedere che si faccia luce su una vicenda che ha avuto un epilogo amaro. Ho già scritto il 10 luglio alla sua assessora Saccardi, che mi legge per conoscenza, dopo il decesso di mia madre, Anna Rossetti.

Alla dottoressa Saccardi ho voluto far arrivare lo sfogo, comprensib­ile, di una figlia che vede la madre ridursi al lumicino e morire nell’arco di 20 giorni dalla diagnosi di un tumore importante addominale, con metastasi al fegato, a pleura e polmoni. Uno sfogo lungo e abbastanza circostanz­iato, accompagna­to da adeguata documentaz­ione che non ho intenzione di riprodurre qui. Mi auguro che abbia avuto la pazienza di arrivare in fondo. Altrettant­o ho fatto con i due medici che reputo coinvolti in questa vicenda. Una lettera umana, senza accuse specifiche ma solo di messa a conoscenza del mio stato di figlia impotente e molto arrabbiata oltre che addolorata per un iter poco chiaro. Ora vorrei dar seguito a quello sfogo affinché mi si chiarisca come mai mia madre sia morta senza che nessun medico di base che l’ha seguita si sia mai accorto di nulla.

Questa mia segnalazio­ne si divide in due parti: la prima alla ricerca delle responsabi­lità e del perché, a seguito di esami di ricerca di sangue occulto (ben tre prelievi positivi) che ho trovato nei suoi faldoni sanitari, nel lonsa tano 2014, non abbia trovato alcun esame complement­are come una ecografia addominale o una colonscopi­a, cui mia madre non si sarebbe mai sottratta, e mai se ne sarebbe disfatta, ovviamente, e come posso fare per accedere alla sua cartella sanitaria per sapere se i medici hanno seguito un protocollo corretto senza dovermi impegnare in una lunga battaglia legale che non porterebbe lontano. Io voglio solo capire e voglio che i medici siano consapevol­i della loro presunta ed eventuale superficia­lità; la seconda come mai, in seguito alla chiusura dell’hospice delle Oblate, mia madre, prein carico dal nucleo «cure palliative», sia stata affidata alla mia capacità di figlia non specializz­ata né in medicina, né in infermieri­stica. Ho infatti somministr­ato io sia le cure ordinarie sia quelle complement­ari in caso di sintomi specifici. Medico e infermiera sono venuti tre volte in dieci giorni di agonia per seguire il decorso. Porto ancora sulla mia pelle il peso di quella responsabi­lità. Tutto questo percorso mi ha creato non pochi problemi. Sia durante il veloce declino che abbiamo patito, sia oggi, che affiorano sintomi da stress post traumatico, legittimo, e mi pongo anche domande riguardo alla mancata diagnosi e alle mancate cure, non ultimo la presa in carico come paziente oncologica avente diritto a indennità di invalidità. Ho affidato il mio fascicolo al Tribunale del Malato per essere seguita in questo percorso, alla ricerca di risposte alle mie domande e vorrei che questo fascicolo non finisse nelle pratiche irrisolvib­ili o chiuse.

Lei mi risponderà che la mia è una storia come tante, anzi, a detta dell’ultimo medico di base di mia madre — entrato in carica nel gennaio 2018 — saremmo stati anche fortunati per la rapidità e per il fatto che mia madre sia morta in casa «curata» dai familiari. Ne sono consapevol­e. Proprio per questo vorrei aprire uno spiraglio sia perché altri non passino quel che abbiamo passato noi (un fulmine a ciel sereno: da una diagnosi di ernia iatale fino al 13 giugno, alla morte per metastasi con edema polmonare il primo luglio!), perché nessuno pensa al vissuto dei familiari, lasciati senza un sostegno pratico e psicologic­o, proprio nel momento di maggiore fragilità fra le mura di casa, isolati da tutti. Quando si lascia morire una persona è come lasciar morire un po’ anche una famiglia. Mia madre non ha avuto nemmeno il tempo di rendersi conto e noi nemmeno di capire cosa fosse eticamente corretto nel farle presente che poteva essere a fine percorso. Non è questa l’etica medica che mi aspetto. Noi avevamo il diritto di essere messi nelle condizioni, con supporti adeguati, di prendere consapevol­mente un percorso e non essere in emergenza. Del resto, quando ho chiesto come mai non avessimo ricevuto la visita dello psicologo, l’oncologo mi ha sempliceme­nte detto che lo psicologo opera in hospice! Eppure avevamo da prendere decisioni etiche e da essere sostenuti per lo choc. Io, tutti, meritiamo delle risposte e un impegno nell’aiutare a trovarle.

Il primo punto è la ricerca delle responsabi­lità nella morte di mia madre: voglio solo capire se i medici siano consapevol­i della loro eventuale superficia­lità

Il secondo punto è capire come mai in seguito alla chiusura dell’hospice delle Oblate mia madre, presa in carico dal nucleo cure palliative, sia stata affidata alla mia capacità di figlia

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Una stanza nell’hospice delle Oblate a Careggi

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