Stop per 3 mesi l’anno, senza dare alternative
Ogni estate, a turno, tocca a uno dei 3 centri fiorentini, causa ferie e mancanza di personale
L’hospice delle Oblate, la scorsa estate, è rimasto chiuso per quasi tre mesi. Dal 10 giugno a fine agosto le sue 11 camere sono rimaste vuote, affidando il carico della gestione delle cure palliative agli altri due hospice fiorentini, quelli di San Felice a Ema e di Torregalli, con i loro 20 posti in totale. Il motivo? C’era da rifare l’impianto dell’aria condizionata, vecchissimo. Già nel 2018, però, l’Asl aveva annunciato per le Oblate che «i mesi di chiusura sono tre invece dei soliti due anche perché la struttura, soprattutto in estate, non garantisce il comfort previsto e necessario, nonostante i ripetuti interventi di miglioramento agli ambienti e l’installazione dell’aria condizionata». Ora, assicura chi ha potuto vedere il reparto dopo la riapertura, l’impianto è stato rifatto. In realtà, negli ultimi anni la scelta di chiudere un hospice è caduta sulle Oblate proprio a causa di questo inconveniente, ma è da molto che l’Azienda chiude d’estate, a turno, uno dei tre centri fiorentini visto le ferie dei dipendenti e il conseguente calo di personale disponibile. Così, i posti letto si riducono di un terzo. Lì, al terzo piano dello storico palazzo viale Pieraccini, nelle 11 camere singole, con un divano letto per ospitare un parente e con un arredamento simile a quello domestico, i malati di
Viale Pieraccini
Nelle ultime estati sono state sempre scelte le Oblate, per problemi all’aria condizionata
cancro, di Sla e di altre patologie vengono qui per vivere gli ultimi giorni e vedere alleviate le proprie sofferenze. Grazie alle cure palliative, compresa la sedazione continuata e profonda, che addormenta il paziente che soffre in modo insopportabile accompagnandolo fino alla morte. Non tutti hanno bisogno dell’hospice, molti riescono a farsi accudire a casa dai propri parenti. Che possono far venire a casa degli operatori, farsi portare la «valigetta rossa» con le medicine palliative e farsi insegnare come usarle. E con la possibilità di fissare un appuntamento a casa con medici, infermieri e psicologi per avere aiuto di volta in volta. Ma c’è chi, per difficoltà materiali o per un disagio emotivo, non riesce ad accudire il malato. Di fronte al caso della fiorentina che denuncia di non aver trovato posto in hospice e di aver avuto scarsa assistenza a casa, chi lavora nel settore resta stupito: «La priorità per avere posto negli hospice è data proprio a chi, a casa, vive una situazione di disagio». Ma quegli 11 letti in meno, per tre mesi, forse sono troppi.