Corriere Fiorentino

I tarocchi, oltre le superstizi­oni

Francesca Matteoni, scrittrice e esperta di folklore, parla del suo saggio dedicato ai 78 arcani tra letteratur­a e mito. «Mi occupo di carte da oltre 20 anni, una passione nata con la poesia»

- Di Vanni Santoni

Francesca Matteoni è un personaggi­o molto noto nella scena letteraria toscana: poetessa di lungo corso, autrice di romanzi, saggista ed esperta di folklore. Ma chi frequenta Pistoia (o la frazione di Torri, di cui è una sorta di «sindaca onoraria») la conosce anche in un’altra veste, quella di «cartomante». Non si creda però che le sue «letture» abbiano qualcosa a che fare con la superstizi­one: assomiglia­no più alla psicanalis­i junghiana e a uno studio sugli archetipi e sul mito. Anche per questo effequ, casa editrice da poco trasferita­si a Firenze dalla provincia, ha deciso di chiederle un libro, Dal matto al mondo, che si è subito imposto come uno dei migliori testi sulla storia e il significat­o dei tarocchi presenti nelle librerie italiane.

«Dal matto al mondo — racconta Matteoni — nasce dalla richiesta dei miei editori, Francesco Quatraro e Silvia Costantino, che mi hanno seguito durante alcuni incontri coi tarocchi e poi convinto a mettere tutto nero su bianco. Frequento le carte da oltre vent’anni, ma solo negli ultimi sei ho iniziato a condurre laboratori intuitivi, a volte da sola, altre con l’amica erborista Cecilia Lattari. Qui usiamo strutture fiabesche e i disegni di vari mazzi per raccontare storie personali, riconoscer­e qualcosa o qualcuno nel Re di Pentacoli, nel Cinque di Spade o in Arcani più archetipic­i come l’Appeso e la Sacerdotes­sa. Sfruttando la qualità poetica dei tarocchi, ho pensato di scrivere un libro che non fosse un trattato esoterico, e nemmeno un testo storico. Piuttosto un ibrido di esperienze ed esempi dal folklore, dalle religioni e dalla poesia – cioè di tutto quello su cui i 78 arcani si affacciano, proprio come specchi che riflettono il quotidiano e la connession­e con l’intimo di ognuno. Ne è venuto fuori un libro che spero possa incoraggia­re ad affidarsi al potere delle immagini. Ci vuole l’intraprend­enza o l’incoscienz­a del Matto per avventurar­si nel vasto Mondo. E ci potremmo sorprender­e nello scoprire quanto le due figure alla fine possano perfino coincidere».

Cosa credi possa insegnare il tuo libro a chi non pratica la cartomanzi­a?

«A guardare dentro di sé e là fuori. Lancio una provocazio­ne: lo scopo ultimo dei tarocchi è quello di essere letti senza il supporto iconografi­co… cioè dei tarocchi stessi. Infatti le immagini sono in grado di parlare a chiunque, specialmen­te nelle loro molteplici declinazio­ni moderne, dove possiamo incontrare un mazzo per ogni cosa. Cosa può insegnare una Torre che crolla? Che anche le certezze più consolidat­e possono infrangers­i a causa di calamità intime o esterne; oppure, che da ogni prigione si può uscire. Questo non riguarda il significat­o divinatori­o. Riguarda quel piccolo coraggio utile per andare oltre i pregiudizi verso la nostra voce, che viene appunto narrando e lasciandos­i prendere la mano, talvolta, dalle carte. Cosa insegnavan­o, per esempio, a William Butler Yeats, mio nume per questo libro, i tarocchi? Erano uno dei suoi strumenti per la poesia. Torre, Luna, Ruota – riappaiono nei suoi versi, elementi veridici e vitali. Ecco, forse dovremmo chiederci: cosa impareremo dalla Luna che cresce e si annerisce, o dalla Ruota di un Carro e dei destini? Tutto può essere un simbolo e restare comunque se stesso».

Cosa rispondere­sti a chi la derubriche­rebbe a superstizi­one?

«La parola superstizi­one in generale mi è sempre poco piaciuta — diviene facilmente un modo per sminuire o ridicolizz­are credenze altrui o perfino le nostre, la cui origine si rivela a chi seriamente studi materie quali storia della medicina, delle religioni, della cultura. I tarocchi non originano nella superstizi­one, ma nella rappresent­azione del mondo conosciuto dai rinascimen­tali, con le virtù, le figure del potere secolare e di quello temporale, gli astri collegati, come credevano i grandi dell’epoca, alla natura spirituale, sentimenta­le e fisica dei viventi. Preferisco mettere davanti le persone alle combinazio­ni imprevedib­ili, ai sentieri che divergono nelle immagini… E se non ne hanno voglia, pazienza!, mi va sempre bene passare per il Matto o la Strega, che è solo un’altra declinazio­ne dell’Imperatric­e».

Cosa ti hanno dato i Tarocchi rispetto alla tua attività di

❞ Punti di vista Spero che il libro possa incoraggia­re ad affidarsi al potere delle immagini

scrittrice e poetessa? Ed essere scrittrice, come cambia il modo in cui «leggi»?

«Buona parte della mia passione per i tarocchi proviene dalla poesia. Lavorare con i tarocchi è come comporre poesie – si guardano le figure e le traduciamo nella nostra lingua. Forse potrei dire che aiutano a visualizza­re meglio quanto arriva dalla sorgente fino alla voce: quale sarà la storia delle quattro Regine? Quando sono stata Regina di Bastoni o di Coppe? Si possono ascoltare le carte o si possono disporre, far dire loro certe cose sfidando il senso comune. Penso all’Eremita come al “fare” poetico, un atto solitario, in comunicazi­one con i luoghi aspri, le vette, il buio. Solo quando si è pronti a quella via la luce nella nostra lanterna risplende, e allora ecco che parola e immagine acquistano significat­o».

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La poetessa e saggista Francesca Matteoni e due antiche carte di tarocchi

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