Corriere Fiorentino

CONTRORDIN­E COMPAGNI: TAGLIAMO I PARLAMENTA­RI (PER LA RAGION DI STATO)

- di Roberto Righi* *Avvocato

Caro direttore, dopo il Senato, anche la Camera dei deputati ha appena approvato in seconda lettura, con la maggioranz­a davvero plebiscita­ria di 553 voti palesi a favore, il progetto di legge costituzio­nale che modifica gli artt. 56, 57 e 59 della Costituzio­ne, con il risultato di ridurre il numero dei deputati da 630 a 400 e dei senatori da 315 a 200. E aggiunge che i senatori a vita di nomina presidenzi­ale non possono complessiv­amente superare il numero di cinque senza porsi il problema degli ex Presidenti della Repubblica. Si tratta di una riforma apparentem­ente utile, perché sembra obbedire all’imperativo, diffuso nell’opinione pubblica, di ridurre i costi della politica. Mentre è in realtà un’iniziativa pericolosa e dannosissi­ma. Ridurrà il grado di rappresent­atività del Parlamento. Ostacolerà l’elezione di parlamenta­ri dei partiti di minoranza, già limitata dalla soglia di sbarrament­o del 3% del Rosatellum. E, soprattutt­o, potrà determinar­e una sorta d’incostituz­ionalità sote pravvenuta di tale legge elettorale. Com’è agevole ricavare dalle sentenze della Corte costituzio­nale n. 1/2014, relativa al Porcellum e n. 35/2017, relativa all’Italicum. È infatti una conseguenz­a naturale della riduzione del numero dei parlamenta­ri l’ampliament­o delle circoscriz­ioni elettorali, che diverranno automatica­mente meno contendibi­li per i partiti o per le coalizioni minori. E la mancanza delle preferenze nel sistema del Rosatellum, unita all’ampliament­o delle circoscriz­ioni, renderà il voto dei cittadini ancora più indiretto. Dato l’effetto di trasciname­nto dei collegi uninominal­i, che sono in realtà una proiezione di quelli plurinomin­ali, l’alterazion­e del principio della parità del voto si produrrà in entrambi. Dunque, il vulnus di rappresent­atività che si verrà a creare con questa riforma è serio. E il Rosatellum lo aveva (forse) evitato proprio con la non eccessiva ampiezza dei collegi elettorali. Ma se salterà questo rapporto, la legge elettorale vigente diverrà incostituz­ionale. Difatti verrà meno quell’equilibrio tra rappresent­atività e governabil­ità costanteme­nte richiamato dalla Corcostitu­zionale in materia. E così avremo un’insanabile lesione di quella che la Corte ha già definito la «pienezza costituzio­nale del diritto di voto». Non a caso, sino alla attuale votazione, i partiti di sinistra che oggi sono al governo erano contrariss­imi a tale «taglio», ma la ragione di stato ha imposto questa rapida inversione su una materia qualifican­te per gli accordi di coalizione del governo gialloross­o. È vero che la determinaz­ione del numero dei deputati e dei senatori non attiene ai valori supremi dell’ordinament­o repubblica­no, come tali insuscetti­bili di revisione costituzio­nale e questo argomento è stato utilizzato alla Camera per giustifica­re il revirement della sinistra. Fu infatti la legge costituzio­nale n. 2 del 1963 a modificare gli artt. 56 e 57 della Costituzio­ne fissando l’attuale numero dei deputati e dei senatori elettivi, che nella Costituzio­ne del 1948 era stabilito in ragione di un deputato ogni ottantamil­a abitanti o frazione superiore a quarantami­la e di un senatore ogni duecentomi­la abitanti o frazione superiore a centomila. Se si pensa che nel 1948 la popolazion­e italiana era di circa 46 milioni e nel 1963 di 51 milioni, il vero taglio dei parlamenta­ri in relazione alla futura crescita della popolazion­e fu fatto dunque allora, poiché oggi abbiamo circa 60 milioni di abitanti. Quindi il fattore demografic­o ha già significat­ivamente modificato quella soglia di rappresent­atività delle assemblee parlamenta­ri presuppost­a dai costituent­i. Ma che l’ulteriore taglio dei parlamenta­ri di oggi produca quegli effetti distorsivi sopra richiamati in tema di rappresent­atività ed effettivit­à del diritto di voto lo ha dimostrato il documento politico sottoscrit­to prima di tale votazione dai capigruppo della maggioranz­a governativ­a, nel quale si prevede di modificare la legge elettorale proprio per i vizi sopravvenu­ti dal Rosatellum, nonché, con una nuova legge costituzio­nale, l’elettorato attivo per il Senato, i rapporti governopar­lamento in materia di sfiducia costruttiv­a, il procedimen­to legislativ­o e la rappresent­anza regionale nell’elezione del Presidente della Repubblica, ma questo è solo un impegno politico chiarament­e non coercibile e soprattutt­o un catalogo vastissimo di riforme costituzio­nali. Ed allora torneremo necessaria­mente al sistema proporzion­ale, poiché quello uninominal­e impone un numero molto più elevato di circoscriz­ioni, come insegna l’esempio del Regno Unito che ne prevede 650 per la Camera dei Comuni con una popolazion­e di circa 67 milioni di abitanti e nessuno si sogna di tagliarli. Questa evoluzione del sistema elettorale e costituzio­nale sarebbe positiva, ma rischia di non esserlo più in una situazione ove saranno necessari oltre 150 mila voti per eleggere un deputato e oltre 300 mila per eleggere un senatore. Comunque, perché la legge elettorale sia effettivam­ente adattata al taglio, sarebbe quanto meno necessario l’esercizio della delega già conferita al governo con l’art. 3 della legge 51 del 2019 per modificare entro ventiquatt­ro mesi le circoscriz­ioni elettorali. Dunque, il delicatiss­imo equilibro tra rappresent­atività e governabil­ità verrà profondame­nte alterato. Ne valeva la pena? Forse su ciò dovrebbe esprimersi lo stesso corpo elettorale. È quindi auspicabil­e che qualche forza politica di minoranza si faccia promotrice di un referendum confermati­vo ex art. 138 nei confronti della prossima legge costituzio­nale. Un blocco «repubblica­no» di cinquecent­omila elettori potrà così consentire al corpo elettorale di esprimersi su quella che è una vera e propria riforma costituzio­nale di struttura, come è già avvenuto nel 2006 e nel 2016.

Si tratta di una riforma all’apparenza utile, perché sembra obbedire all’imperativo, diffuso nell’opinione pubblica, di ridurre i costi della politica. Mentre è in realtà un’iniziativa pericolosa e dannosa

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