MONTALE E IL COSTO DELLA DISTRAZIONE
❞ Sì, è vero: come scriveva Philippe Ariès già 40 fa, la morte ha sostituito il sesso come tabù. La lettura dei Sepolcri del Foscolo, nell’ultimo anno delle superiori, è stata sostituita, in omaggio al «novecentismo» imperante, da quella di opere più recenti.
In pochi credono ancora che «l’urne de’ forti» accendano «a egregie cose» e gli alti costi dei restauri di una cappella gentilizia, sottoposti a tutti i vincoli della Sovrintendenza, ma non detraibili dalle tasse, inducono molti eredi al suo abbandono.
Eppure non è arbitraria l’impressione che Firenze abbia perso una splendida occasione in quel lontano settembre del 1981 in cui Eugenio Montale, morto a Milano dopo aver vissuto gli anni più intensi della sua vita sulle rive dell’Arno, scelse di essere seppellito nel cimitero di San Felice a Ema, in compagnia della moglie Drusilla. Concedergli un’adeguata sepoltura nel cimitero delle Porte Sante, nello spazio riservato ai fiorentini più illustri, sarebbe stata l’occasione per dimostrare la persistente capacità attrattiva della città sugli uomini d’ingegno. Per Firenze, costretta ad accontentarsi in Santa Croce del cenotafio di Dante, sarebbe stata una piccola rivincita, che gli amministratori del tempo lasciarono cadere.
Quanto avvenuto nei giorni scorsi è tuttavia più grave. Il Comune di Firenze si è accorto in ritardo, grazie allo scoop di un sito internet, che la concessione per la tomba di Montale era da tempo scaduta, e che le spoglie del poeta cui pure aveva tributato la cittadinanza onoraria sarebbero finite in un ossario. Solo in seguito alla manifestazione che ha visto la commemorazione dei 123 anni dalla nascita del poeta coincidere con le preoccupazioni per il futuro delle sue spoglie mortali l’amministrazione è intervenuta, con le dichiarazioni, fra l’altro, dell’assessore alla memoria Alessandro Martini, che ha prospettato l’inumazione della salma di Montale alle Porte Sante. Nel frattempo anche il sindaco di Monterosso, nelle Cinque Terre, città cara al poeta che vi trascorreva le vacanze estive, si è dichiarato pronto ad accoglierne le spoglie, magari in uno di quei «liguri cimiteri aperti al vento e all’onde» evocati nella loro «rosea tristezza» vespertina da Vincenzo Cardarelli, altro sommo lirico del nostro ‘900. Non ce ne sarà bisogno, ed è bene sia così. Ma quanto avvenuto è la conferma, riveduta e ampliata, di quanto a suo tempo constatato dal poeta degli Ossi di seppia: non è solo la vita, ma la stessa morte, una muraglia, che ha in cima «cocci aguzzi di bottiglia». Aguzzi a volte quanto la distrazione degli uomini.