Corriere Fiorentino

L’Ultima Cena, come l’ha vista una donna

Il Cenacolo della «pictora» grazie ad Advancing Women Artists, è tornato in Santa Maria Novella Il restauro Cinque anni di paziente lavoro per una tela che cela più mani

- Dino

L’Ultima Cena di Plautilla Nelli, pittrice religiosa cinquecent­esca, torna visibile dopo 4 anni di irestauro. La tela di quasi sette metri sarà esposta nel museo di Santa Maria

Novella. Il restauro è stato possibile grazie al lavoro di Awa, Advancing women artists, l’associazio­ne che valorizza il lavoro di artiste donne a Firenze.

Cinque anni di ritocchi e ritocchi, e ancora ritocchi, sono un tempo lungo. E congruo, soprattutt­o, per chi, come Rossella Lari, la restauratr­ice che all’Ultima Cena di Plautilla Nelli ha dedicato tanto tempo e altrettant­o amore, l’ha interrogat­a

— lo ha detto lei— chiedendol­e notizie sulla vita della sua «pictora» e su quella delle sue consorelle, al Convento di Santa Caterina da Siena in Cafaggio. Un dialogo costante tra l’opera, chi l’ha curata nel suo laboratori­o, gli storici dell’arte che l’hanno accompagna­ta, che qualche risposta infine ce la fornisce.

Se ora questa Ultima Cena, tela immensa di 7 metri per 2 firmata dalla tre volte priora, di quel convento nel ‘500, è tornata dove si trovava dal 1817, e cioè nel refettorio domenicano di Santa Maria Novella, lo si deve allo sforzo, mai abbastanza lodato di Awa, Advancing Women Artists, l’associazio­ne diretta da Linda Falcone e fondata da Jane Fortune, oggi scomparsa per far conoscere, recuperare, restaurare e valorizzar­e il lavoro di artiste donne a Firenze. Sono loro che hanno raccolto i fondi, 200 mila euro, per restaurare la tela. Dopo che, sempre di Plautilla, nel 2006, avevano fatto restaurare il Compianto con Santi di San Marco, nove dei suoi dodici disegni custoditi al Gabinetto disegni e Stampe degli Uffizi (2007), e poi il San Domenico che riceve il rosario del Museo del Cenacolo di Andrea del Sarto (2008). Obiettivo dichiarato far uscire dall’oblio un’artista lodata anche dal Vasari che, seppur non gli dedicò una vita, ne lodò la tecnica e la maestria. Di Plautilla Nelli oggi, anche grazie al lavoro di ricerca condotto da Awa, si conoscono 27 opere. A lei nel 2017 gli Uffizi hanno dedicato una mostra, la prima monografic­a. Di lei sentiremo ancora parlare perché, come hanno raccontato ieri nel presentare il restauro la stessa Lari e Silvia Colucci, coordinatr­ice del progetto di recupero della tela, è certo che di sue opere ce ne siano ancora in giro. «Furono tante le famiglie fiorentine che nel XVI secolo chiesero a suor Plautilla delle opere devozional­i per le loro case private — spiega in questo senso Lari — e noi sappiamo per certo che lei e le sue consorelle, per mantenersi e per tenersi occupate, accettavan­o volentieri tali commission­i e non solo. Per esempio erano solite preparare le statuine in gesso per i presepi privati». Già questa spiegazion­e accende un faro sull’Ultima Cena: perché ci dice che l’opera è frutto del lavoro congiunto di Plautilla e delle sue consorelle.

La nostra «pictora» — è così che si firma nell’angolo in alto a sinistra della tela — era entrata nel convento domenicano femminile, sorto accanto a quello di San Marco, che aveva appena 14 anni, pare, in seguito alla morte della madre, causata dalla peste, e alla scelta del padre di risposarsi. Sicurament­e non veniva da una famiglia di basso lignaggio — la decorazion­e della tavola dove si svolge l’Ultima cena è sontuosa, ci sono argenti, porcellane dipinte a motivi cinesi, bei bicchieri. E se non bastasse questo la storia ci racconta che sua sorella Costanza, anche lei monaca, aveva scritto un’importante biografia di Savonarola e che una Nelli, imparentat­a con la nostra, era la madre di Machiavell­i. «Quest’opera — ha spiegato Colucci — è stata realizzata nel settimo decennio del ‘500 per il refettorio del suo convento, dove è rimasta fino al 1817 quando in seguito alle soppressio­ni napoleonic­he il convento ebbe varie destinazio­ni d’uso». Fu anche Gendarmeri­a e poi fu praticamen­te abbattuto per dare spazio a un edificio destinato a ospitare il Ministero della Guerra durante gli anni di Firenze capitale. Più volte restaurata e molto danneggiat­a — le foto del prima e dopo che qui pubblichia­mo parlano da sé — oggi che è stata studiata e recuperata mostra la notevole abilità della pictora e molto altro. Dell’alto lignaggio di Plautilla e del fatto che sia stata aiutata dalle consorelle si è detto ma non basta. Date le dimensioni della tela è quasi certo che Plautilla, in alcune fasi della sua fattura — la preparazio­ne della tela, la stesura della colla di coniglio e della biacca — sia stata aiutata anche da qualche uomo. La clausura cui lei e le altre monache erano soggette — a quei tempi — non doveva essere così vincolante. «E anche la precisione dei tratti dei volti maschili dei dodici apostoli — spiega Lari — ci inducono a crederlo». Resta il fatto però che i soggetti più belli sono quelli che, come San Giovanni il cui capo è inclinato sulla spalla di Cristo, hanno tratti più femminili. E che, sappiamo per certo, molti dei suoi soggetti furono ispirati dalla collezione dei disegni di Fra Bartolomeo che la priora ebbe modo di studiare. Da autodidatt­a. Talentuosa e curiosa.

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Da sinistra: «L’Ultima Cena» di Plautilla Nelli tornata al refettorio di Santa Maria Novella e particolar­e del dipinto con San Giovanni che poggia la testa su Gesù. Sotto l’opera dopo il restauro e prima che iniziasse il suo recupero 5 anni fa
Da sapere Da sinistra: «L’Ultima Cena» di Plautilla Nelli tornata al refettorio di Santa Maria Novella e particolar­e del dipinto con San Giovanni che poggia la testa su Gesù. Sotto l’opera dopo il restauro e prima che iniziasse il suo recupero 5 anni fa
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