Così vidi Duccio travolto dall’auto che andava a 100
Il racconto al processo per la morte di Dini
«Ho visto il ragazzo volare per quasi 10 metri. Lui da una parte della strada, il casco dall’altra». Un’immagine terrificante anche per il carabiniere di lungo corso che ieri ha testimoniato al processo per la morte di Duccio Dini, il ventinovenne fiorentino travolto e ucciso il 10 giugno 2018, in via Canova durante un inseguimento tra rom impegnati in una spedizione punitiva.
Nell’aula bunker, ad ascoltare quella ricostruzione c’è la sorella di Duccio, circondata dagli amici. Trattiene a stento le lacrime. I suoi genitori, assistiti dagli avvocati Neri e Bruna Pinucci, hanno preferito abbandonare l’aula prima di quello straziante racconto.
Dall’altra parte dell’aula, sono seduti i sette imputati — Remzi Mustafa, Dehran Mustafa, Kamjuran Amet, Enim Gani, Antonio Mustafa, Kole Amet e Renmzi Amet — accusati di concorso in omicidio volontario con dolo eventuale, tentato omicidio, lesioni gravissime e tentata violenza privata. Per la Procura volevano uccidere Bajram Rufat che era in lite con la moglie. Qualche giorno prima della tragedia la coppia si era riappacificata e l’uomo aveva immortalato con il cellulare il giuramento di fedeltà della donna. Quel video aveva scatenato la reazione del suocero e i due erano arrivati alle mani.
Il carabiniere era di pattuglia in via Canova: «Quella mattina, la Opel Zafira e la Volvo provocarono l’incidente mortale inseguendo la Opel . Dalla Volvo scesero due uomini, uno dei quali armato di bastone, alla ricerca di Bajram Rufat. Gridarono che lui aveva una pistola». Ma nessuna arma è stata poi trovata.
«Rufat era dietro una siepe, ferito e sotto choc che chiedeva aiuto perché volevano ammazzarlo». A confermare la folle corsa delle due auto c’è il video di 8 secondi, ripreso dalle telecamere di sorveglianza in via Canova.
Altra conferma arriva dai rilievi della polizia municipale. Un ispettore ha spiegato che la Volvo viaggiava a 103 chilometri orari, poco meno (99 km orari) la Zafira. «A quella velocità non si poteva frenare. Le due vetture superarono le strisce pedonali: un passante non si sarebbe salvato».
Tra i testimoni, c’è anche il pensionato che quella domenica di giugno era in auto con la moglie, fermo, in seconda fila, davanti al semaforo rosso: «Ho sentito un colpo, poi ho visto volare un’auto sopra la mia e atterrare sulla vettura davanti a me, prima di finire sull’altra carreggiata. Noi ci salvammo».
L’anziano scese dall’auto per chiamare i soccorsi ma i carabinieri erano già lì. «Una donna di etnia rom — prosegue il pensionato — urlava e indicava l’uomo a bordo della Lancia rossa finita sotto la siepe: è armato, ha una pistola».
In aula si susseguono altri testimoni: passanti, automobilisti, investigatori. E ognuno racconta un frammento di quella domenica mattina in cui Duccio perse la vita. Il processo riprenderà il prossimo 30 ottobre.
Ai giudici della Corte d’assise toccherà ascoltare altri testimoni e guardare nuovi video.
Le due auto correvano in via Canova ad una velocità di 100 chilometri all’ora