«Missione Fauno», preso dai nazisti
La prima opera dell’artista fu trafugata a Poppi. Il direttore degli Uffizi: «Contatti avviati»
Riportare a casa la Testa di fauno. Dopo il Vaso di fiori, il direttore degli Uffizi Schmidt vuole aiutare la direttrice del Bargello a ritrovare l’opera (sopra a sinistra), la prima scolpita da un Michelangelo ancora fanciullo trafugata dai nazisti. «Attraverso canali diplomatici — spiega Schmidt — ho già avviato le pratiche per riportare a casa il
Fauno. Ma ci vorrà almeno un anno». Ma l’opera di Michelangelo è solo una dei circa ottanta capolavori sparsi per il mondo che furono portati via dal patrimonio artistico fiorentino. Tra queste anche la Madonna col bambino di Pierino da Vinci (in alto a destra), nipote di Leonardo.
Riportarla a casa sarebbe un gran colpo. La Testa di fauno, la prima opera presumibilmente scolpita da Michelangelo ancora fanciullo, è la prima nella lista di quelle trafugate dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale che il direttore degli Uffizi Eike Schmidt sta cercando di riportare a Firenze, in accordo in questo caso, con la direttrice del Bargello Paola D’Agostino, visto che l’opera fa parte della collezione del museo da lei diretto fa parte.
Non è la sola, visto che, come diceva ieri Schmidt a latere della conferenza stampa di presentazione della nuova mostra del Museo della Moda — Ai piedi degli dei è il titolo — «Ancora in giro per il mondo ce ne saranno circa 80, dieci delle quali sono pezzi da deposito mentre le altre sono dei capolavori. Tra queste oltre alla celebre Testa di fauno, identificata con la scultura michelangiolesca dal XVII secolo fino al 1860, quando la datazione è stata posticipata, e al Vaso di fiori recentemente tornato a casa di Jan Van Huysum, mi viene in mente un’altra scultura, La
Madonna col bambino di Pierino da Vinci, nipote di Leonardo anch’essa appartenuta alla collezione del museo del Bargello».
L’opera di Michelangelo però è quella più suggestiva. Non foss’altro che per la sua leggendaria storia. Raccontava Vasari nelle sue Vite, a proposito di questa prova d’autore giovanile che, quando nel 1489 il futuro artefice del David e della Cappella Sistina, ancora apprendista alla scuola di San Marco, aveva appena completato il piccolo marmo alto appena 26 centimetri, sarebbe passato lì accanto Lorenzo de’ Medici il quale lo avrebbe indotto a danneggiarla dicendogli: «Tu dovresti pur sapere che i vecchi non hanno mai tutti i denti e sempre qualcuno ne manca loro». Come risposta Michelangelo: «Subito gli roppe un dente e trapanò la gengìa di maniera, che pareva che gli fusse caduto». Dopo questo danno voluto, che contribuì a far guadagnare a Michelangelo la speciale benevolenza del Magnifico sotto la cui ala protettrice continuò a lavorare, l’opera rimase indenne per secoli: riuscì finanche a resistere alla foga dei seguaci di Savonarola accorsi in massa alla scuola di San Marco per distruggere quella bellezza che tanto Lorenzo perseguiva e che il monaco domenicano riteneva fonte somma e specchio di corruzione e vanità.
Nel 1943, fu deciso di trasferirla dal Bargello al castello di Poppi, insieme con molte altre, per proteggerla dai bombardamenti. Fu da qui che sparì. I soldati nazisti della 305° divisione di fanteria, per portarla via con molte altre, riuscirono a forzare sette porte e un muro spesso per entrare al Castello. Era la notte tra il 22 e il 23 agosto del ’44. A colpi di pistola s’impossessarono di un gran numero di casse. Nella numero 8, come raccontano dei documenti d’archivio custoditi a Washington, c’era proprio il Fauno. Da allora di lui solo leggende. Qualcuno ha asserito che l’opera sia stata nascosta nel caveau di una banca Svizzera, qualcun altro che, dopo la sconfitta e lo smembramento della Germania, sia stata trafugata dall’Armata Rossa a Berlino, cosa che è accaduta per molte altre trafugate dai nazisti. Ma Schmidt assicura: «Attraverso canali diplomatici, ho già avviato le pratiche per riportare a casa il Fauno. Ma ci vorrà almeno un anno».