Strage del treno: «Pochi controlli, troppi risparmi»
Le motivazioni della sentenza di Appello: «Carri stranieri non controllati»
Una politica aziendale volta al risparmio, scarsa cura della sicurezza del trasporto merci «come se non potesse essere fonte di pericolo per le persone, anche se non trasportate», e scarsa valutazione dei rischi. Nelle oltre 1200 pagine della sentenza di Appello per la strage di Viareggio è ricostruita tutta la catena delle responsabilità e delle omissioni che la notte del 29 giugno 2009 provocarono la morte di 32 persone dopo il deragliamento alla stazione del treno merci con 14 carri cisterna contenenti gpl. A giugno la Corte d’Appello presieduta da Paola Masi (giudici a latere Giovanni Perini e Anna Favi) aveva condannato Mauro Moretti (7anni), ex amministratore delegato di Fs e Rfi, Michele Mario Elia (ex ad di Rfi) e Vincenzo Soprano (ex ad Trenitalia), entrambi a 6 anni, oltre gli amministratori e i dirigenti delle società tedesche ed austriache che facevano manutenzione dei carri merci in appalto.
Per i giudici dell’Appello Moretti ed Elia sono responsabili di aver «deliberatamente violato le norme in tema di tracciabilità dei rotabili». Si è trattato — scrivono i giudici — di una precisa politica aziendale diretta a limitare gli impegni di spesa relativi al trasporto delle merci, settore minoritario anche per Trenitalia nonché fonte di minori guadagni per investire piuttosto, anche in termini di sicurezza, nel trasporto passeggeri: si è deciso di non investire nella realizzazione di una flotta di carri merci di proprietà ma di utilizzare carri di proprietà di terzi, e di non impegnare personale e denaro per sottoporli a controlli particolarmente attenti, e a non pretendere dai fornitori dei carri stessi di assicurare, dimostrandola, la medesima qualità manutentiva a cui erano sottoposti i carri di proprietà di Trenitalia». Tuttavia — rilevano i giudici — a Moretti, Elia e Soprano vanno concesse le attenuanti — «in quanto la loro scelta imprenditoriale di non assicurare al trasporto merci pericolose il necessario livello di sicurezza non appare dovuto a insipienza o alla prevalenza di interessi non meritevoli di tutela bensì alla volontà di risanamento delle Ferrovie stesse, il cui finanziamento incide sul bilancio dello Stato».
«È vero — si legge nella sentenza — che la prima e fondamentale precauzione è quella di evitare i deragliamenti ma la valutazione dei rischi deve prevedere anche i possibili eventi successivi qualora il deragliamento si verifichi». Quest’operazione di valutazione — proseguono i giudici — doveva prendere in esame in primo luogo, come possibile conseguenza di un deragliamento, la rottura del contenitore e la dispersione della merce stessa ma anche la pericolosità del percorso. «L’attraversamento della stazione di Viareggio avrebbe dovuto essere valutato come particolarmente rischioso e tale da richiedere una prudenza maggiore rispetto alla circolazione su tratte lontane da abitazioni. E nel caso di Viareggio il rischio avrebbe dovuto essere valutato come maggiore per il fatto che la merce trasportata era Gpl, che le cisterne non erano a doppio scafo, anche se conformi alle norme, che le zone abitate non erano isolate da barriere, che i carri non erano accompagnati da documentazione che dimostrasse la corretta manutenzione e non avevano i rilevatore di svio».
Anche l’alta velocità, scrivono i giudici, rientra tra i fattori che hanno concorso nella strage: «Rfi, gestore dell’infrastruttura, avrebbe dovuto imporre a quel convoglio di non superare i 60 km orari nell’attraversamento delle stazioni ferroviarie».
I giudici
«Tuttavia ai dirigenti vanno concesse le attenuanti in quanto le loro scelte imprenditoriali erano dettate dalla volontà di risanare Fs»