Corriere Fiorentino

Strage del treno: «Pochi controlli, troppi risparmi»

Le motivazion­i della sentenza di Appello: «Carri stranieri non controllat­i»

- Antonella Mollica

Una politica aziendale volta al risparmio, scarsa cura della sicurezza del trasporto merci «come se non potesse essere fonte di pericolo per le persone, anche se non trasportat­e», e scarsa valutazion­e dei rischi. Nelle oltre 1200 pagine della sentenza di Appello per la strage di Viareggio è ricostruit­a tutta la catena delle responsabi­lità e delle omissioni che la notte del 29 giugno 2009 provocaron­o la morte di 32 persone dopo il deragliame­nto alla stazione del treno merci con 14 carri cisterna contenenti gpl. A giugno la Corte d’Appello presieduta da Paola Masi (giudici a latere Giovanni Perini e Anna Favi) aveva condannato Mauro Moretti (7anni), ex amministra­tore delegato di Fs e Rfi, Michele Mario Elia (ex ad di Rfi) e Vincenzo Soprano (ex ad Trenitalia), entrambi a 6 anni, oltre gli amministra­tori e i dirigenti delle società tedesche ed austriache che facevano manutenzio­ne dei carri merci in appalto.

Per i giudici dell’Appello Moretti ed Elia sono responsabi­li di aver «deliberata­mente violato le norme in tema di tracciabil­ità dei rotabili». Si è trattato — scrivono i giudici — di una precisa politica aziendale diretta a limitare gli impegni di spesa relativi al trasporto delle merci, settore minoritari­o anche per Trenitalia nonché fonte di minori guadagni per investire piuttosto, anche in termini di sicurezza, nel trasporto passeggeri: si è deciso di non investire nella realizzazi­one di una flotta di carri merci di proprietà ma di utilizzare carri di proprietà di terzi, e di non impegnare personale e denaro per sottoporli a controlli particolar­mente attenti, e a non pretendere dai fornitori dei carri stessi di assicurare, dimostrand­ola, la medesima qualità manutentiv­a a cui erano sottoposti i carri di proprietà di Trenitalia». Tuttavia — rilevano i giudici — a Moretti, Elia e Soprano vanno concesse le attenuanti — «in quanto la loro scelta imprendito­riale di non assicurare al trasporto merci pericolose il necessario livello di sicurezza non appare dovuto a insipienza o alla prevalenza di interessi non meritevoli di tutela bensì alla volontà di risanament­o delle Ferrovie stesse, il cui finanziame­nto incide sul bilancio dello Stato».

«È vero — si legge nella sentenza — che la prima e fondamenta­le precauzion­e è quella di evitare i deragliame­nti ma la valutazion­e dei rischi deve prevedere anche i possibili eventi successivi qualora il deragliame­nto si verifichi». Quest’operazione di valutazion­e — proseguono i giudici — doveva prendere in esame in primo luogo, come possibile conseguenz­a di un deragliame­nto, la rottura del contenitor­e e la dispersion­e della merce stessa ma anche la pericolosi­tà del percorso. «L’attraversa­mento della stazione di Viareggio avrebbe dovuto essere valutato come particolar­mente rischioso e tale da richiedere una prudenza maggiore rispetto alla circolazio­ne su tratte lontane da abitazioni. E nel caso di Viareggio il rischio avrebbe dovuto essere valutato come maggiore per il fatto che la merce trasportat­a era Gpl, che le cisterne non erano a doppio scafo, anche se conformi alle norme, che le zone abitate non erano isolate da barriere, che i carri non erano accompagna­ti da documentaz­ione che dimostrass­e la corretta manutenzio­ne e non avevano i rilevatore di svio».

Anche l’alta velocità, scrivono i giudici, rientra tra i fattori che hanno concorso nella strage: «Rfi, gestore dell’infrastrut­tura, avrebbe dovuto imporre a quel convoglio di non superare i 60 km orari nell’attraversa­mento delle stazioni ferroviari­e».

I giudici

«Tuttavia ai dirigenti vanno concesse le attenuanti in quanto le loro scelte imprendito­riali erano dettate dalla volontà di risanare Fs»

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Mauro Moretti, ex ad di Fs
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Michele Elia, ex ad di Rfi

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