IO E LA PENNA DI MARIO: UNA POESIA PER LUZI
Pubblichiamo una lettera e una poesia indirizzate a Mario Luzi da Walter Rossi, amico e collega del poeta e senatore a vita fiorentino scomparso nel 2005.
Per Natale anche il Corriere Fiorentino si ferma due giorni: tornerà in edicola venerdì 27. Auguri a tutti i lettori
Caro Mario,
la settimana prima di Natale del 2004, quindici anni fa, venni a prenderti a casa tua e ci recammo insieme nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Durante il viaggio da via di Bellariva numero venti in via dell’Oriuolo dicesti, a voce bassa: «Siamo sotto Natale». Avevi uno sguardo quel giorno, entrando in Duomo, pieno di stupore e di ammirazione, sembravi un bambino in un campo di erbe infestanti. La penna che ho tra le mani è tua, è quella che avevi sul comodino la sera prima di partire per il tuo viaggio celeste, l’ultima penna con la quale hai scritto l’ultimo verso. Ogni anno, sotto Natale, la tiro fuori dal panno di velluto rosso nel quale la conservo,
per vedere se ancora scrive. Scrive, diamine se scrive. Ha un inchiostro nero, liscio, che corre sul foglio come un fiume in piena. ***
Dopo la tua partenza qui non è accaduto più nulla. Una discesa, quella sì, un trascorrere. Abbiamo abbreviato le soste e i silenzi.
Abbiamo venduto le stanze arredate di libri. Abbiamo eletto un domicilio invisibile.
Nei calanchi.
Sui pruni sulle cave controluce, sotterranee.
Nei cieli concavi ai calanchi e alle biancane alle lame di coltello alle forme erosive, mature, della parola.
Alle argille impermeabili, scagliose e galestrine. Ai solchi contigui, gli uni agli altri.
In grandi bacini ed emicicli. Nei ventagli brulli di vegetazione pressoché impraticabile.
Nell’erosione delle parole. Nelle acque meteoriche. In periodi eterni molto piovosi
In periodi eterni molto secchi.
Eravamo lì e lì siamo rimasti, esposti al sole.
Nella stagione fredda, nella gelificazione. Pipistrelli e gechi notturni. In continuo mutamento ma uguali al magma, al dilavamento dell’acqua pluviale.
Nelle argille depositate dagli oceani.
Due milioni di anni, furono, due milioni. Incoerenza geologica tagli nei fianchi delle alture. Ferita profonda dove nessuna pianta può nascere. Tutto viene eroso dove la terra è nuda.
Siamo stati ginestre olmo rovo biancospino piccolo bosco di castagni e di carpini bianchi di orniello di roverella di cerro una poiana uno sparviere un gheppio un lodolaio un’assiolo un allocco un barbagianni un picchio verde un martin pescatore una taccola un piccione.
Ci siamo radunati tutti sulle rupi tufacee.
Ci siamo ritrovati anche oggi Siamo venuti per ascoltare, adesso puoi parlare. Siamo in diversi: la volpe l’istrice il riccio il cignale il tasso la faina la donnola il raro tritone crestato la salamandra pezzata la lepre italica famiglie intere di capre selvatiche.
Ti abbiamo visto, rivisto, mentre eri seduto a riprendere fiato.
Qui ora davanti all’invisibile al passo profondo dell’eterno. Alla tua naturalezza.
Alla tua umiltà alla dolcezza semente seme stigma seminagione fioritura dell’universo, di Firenze e Siena le due sorelle scelte dalla giustizia per la salvezza dei corpi celesti.
Chi è il proprietario? Quale ordinamento vige nelle galassie?
La scala del Paradiso del Monte Sinai.
La scala del metato di Semproniano.
La scala di pietra serena della casa di Castello.
La scala di marmo di Via di Bellariva.
La scala della dimora del tuo amico Ferlando Flori, il figlio del minatore l’hai poi rivisto?
Aveva due mesi meno di te, è nato due mesi dopo di te, è rimasto qui, sulla terra, un anno in più di te, è partito un anno dopo di te.
Dove l’hanno trasferito? Ferlando, il custode della tua anima amiatina. Vi intendevate a sguardi, a cenni del capo, a mugugni. L’amicizia è una patria in fondo alla miniera. Siamo tornati qui, oggi, nella purezza di uno sguardo. Santa Maria del Fiore Florum Flos.
Vienci anche te, Mario, «Siamo sotto Natale».