Corriere Fiorentino

L’allarme degli artigiani: il 2020 un altro anno nero

Secciani (Ebret): perse 800 piccole aziende, senza sostegno non andrà meglio. Primo problema il credito

- S.O.

Dopo un 2019 chiuso con numeri pesantemen­te negativi, il 2020 non si annuncia migliore per le aziende artigiane della Toscana. «Dal nostro punto di vista — dice il direttore dell’Ente bilaterale dell’artigianat­o toscano (Ebret), Paolo Secciani — non possiamo fare altro che fare una previsione negativa per l’anno prossimo. Non vediamo una speranza di migliorame­nto, mi piacerebbe non dover usare il termine preoccupan­te anche per il 2020, ma purtroppo questo è. Assistiamo, anche in questi giorni, a un continuo incremento di domande di sospension­e dei rapporti di lavoro, un numero altissimo di piccole aziende che chiudono». Nel 2019 l’artigianat­o toscano ha perso 5.500 posti di lavoro, con 800 aziende chiuse e un’impennata del 70 per cento delle ore di cassa integrazio­ne richieste. Le ore di lavoro cancellate sono state 220 mila. «Sinceramen­te è un dato che ci ha sorpresi — prosegue Secciani — Non ci aspettavam­o un bilancio così negativo. Nel biennio precedente, rispetto agli anni della crisi, c’era stata una ripresa. I numeri di chiusura del 2019 erano difficilme­nte prevedibil­i. Sicurament­e questa emorragia di piccole imprese è dovuta a un mix di fattori, individuar­e un’unica causa è praticamen­te impossibil­e. Pesa moltissimo il calo della domanda interna, al quale si è aggiunta anche la flessione del mercato europeo: questo è un elemento fortemente negativo ad esempio per la meccanica che infatti ha iniziato a segnare il passo».

Secciani aggiunge all’elenco degli elementi critici «l’incertezza politica, la mancanza di provvedime­nti a sostegno delle aziende di piccole dimensioni e soprattutt­o l’assenza di un piano serio per la riduzione del costo del lavoro. Le piccole e medie imprese, da parte loro, dovrebbero sviluppare la capacità di aggregarsi e riunirsi in filiere per ottimizzar­e la produzione, sostenere gli investimen­ti e la formazione: senza far questo non riescono a crescere e infatti notiamo che sta aumentando la dimensione media delle aziende attive, segno che quelle più piccole escono dal mercato».

E poi, primo fra tutti, c’è quello che anche l’ultimo rapporto di Fedart Fidi — la federazion­e unitaria dei consorzi fidi dell’artigianat­o e delle Pmi, promossa da Confartigi­anato, Cna e Casartigia­ni — indica senza mezzi termini come «il» problema, cioè l’accesso al credito: le banche non danno soldi agli artigiani e alle piccole imprese. Nel primo semestre 2019, secondo il rapporto, gli istituti di credito hanno erogato 22,5 miliardi in meno rispetto all’anno precedente, passando da 744,2 miliardi a 722,7 a livello nazionale. Dal 2010 il flusso di denaro dalle banche verso le piccole aziende è calato del 41%. Secondo la ricerca di Fedart Fidi, lo stock di finanziame­nti garantito dai Confidi si è ridotto di due terzi in 8 anni e l’ultimo anno è passato da 20 miliardi a 17 e prosegue la divaricazi­one dimensiona­le: più credito alle aziende più grandi e quasi zero alle piccole. «I dati di Fedart Fidi sono solo l’ultima conferma di un trend che vediamo ormai da anni e che, sommato a tutti gli altri fattori critici, determina una continua uscita delle aziende più piccole dal mercato», conclude Secciani.

La stretta

Nel primo semestre del 2019 erogati 22,5 miliardi in meno alle piccole imprese

Le ragioni

«Su questa emorragia di Pmi pesa il calo della domanda interna e di quella europea»

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