«Sicurezza sulle strade, una guerra che noi padri abbiamo sottovalutato»
Caro direttore, la tragedia di Roma con la morte delle giovanissime Giulia e Camilla e quella in Versilia con la scomparsa di Dario 16 anni hanno fatto riemergere il tema della violenza stradale che in realtà non va mai in vacanza. L’Organizzazione mondiale della sanità ci dice da un paio di anni che è la prima causa di morte per i giovani sino a 29 anni nel mondo. Già questo di per sé basterebbe per porla nelle agende di tutte le istituzioni politiche e non. E invece questo non accade e si investe poco e male. In ormai quasi 10 anni di attività di prevenzione anche nelle scuole mi sono accorto che il problema principale non è cosa fare, il problema principale è la mancanza di consapevolezza che questo sia un problema e che sia risolvibile. Fino a che i cittadini non si accorgeranno di questo sarà difficile che politica e istituzioni mettano l’energia necessaria per affrontarlo. Una buona notizia però c’è: il problema si può risolvere perché creato dall’uomo. In natura l’essere umano non muore giovane per morte violenta da scontro mentre si muove sulla terra. La natura non aveva previsto questo tipo di violenza mortale. È stato l’uomo a introdurla. E come l’ha introdotta la può e deve eliminare. Non è certamente facile farlo perché si tratta di eliminare alcuni comportamenti «comodi»: tornare a casa in auto dopo aver bevuto del vino con amici al ristorante; leggere il messaggio mentre si guida; attraversare la strada dove e come ci pare; andare a 70 km/h in città perché siamo in ritardo; superare la linea continua ogni quando e ogni dove. Il nostro cervello tende a scegliere il comportamento che consuma minore energia di ragionamento, come leggere immediatamente un messaggio dopo una notifica. Per cambiare occorre uno sforzo mentale che può essere generato solo da un percorso completo fatto di tanti passaggi: educazione (sono consapevole che è pericoloso); motivazione (voglio non leggerlo perché magari se mi beccano non guido più); vincoli (il telefono non prende in macchina). Purtroppo la strada che ci porta a questa consapevolezza è ancora lunga, basta guardare due esempi recenti. Nella tragedia di Roma ci sono stati interventi sui media che si sono focalizzati sulla mancanza di illuminazione nella zona. Spostare il fuoco su un lampione è come guardare il dito e non vedere la luna. Le infrastrutture (il dito) c’entrano poco. In questa tragedia, come in tante altre c’entra il comportamento dell’uomo (la luna). Con il dovuto rispetto, senza fare nessuna morale e prendendo le informazioni dalla stampa, gli errori umani in questa tragedia appaiono tanti: velocità sopra i limiti, guida in stato di ebbrezza, attraversamento in zona molto pericolosa. Indicare le infrastrutture come colpevoli è il solito alibi che non aiuta ad aumentare la consapevolezza sul ruolo dell’uomo. L’altro esempio riguarda la nostra città, Firenze. Da un lato il Comune si impegna, insieme a noi e a tante altre associazioni, con il progetto «David» a ridurre la mortalità sulle strade anche con risultati importanti — si è ridotta del 50% il linea con gli obiettivi europei, mentre sia l’Italia che la Toscana sono molto lontani dal raggiungimento di tale obiettivo di vite salvate. Dall’altro lo stesso
Comune concede il permesso a Netflix di girare un film come Six Underground nelle strade di Firenze e all’Alfa Romeo di usare gli spot come pubblicità. Un film dove si riproducono comportamenti spericolati alla guida in un area pedonale nel centro che se fossero reali ucciderebbero adulti, giovani e bambini. Non certo un buon esempio per un città che avrebbe tutti i mezzi e le competenze per poter arrivare a zero mortalità sulle strade in una decade. Il 21esimo secolo è considerato in Europa il secolo della pace, senza guerre fra Paesi confinanti. In realtà una guerra c’è: quella sulla strada che in venti anni ha fatto in Europa almeno 600.000 morti e 3 milioni di feriti gravi. Soprattutto giovani. E la colpa è senza dubbio della mia generazione, dei padri che non hanno considerato questo fenomeno per quello che è: una guerra.
Chissà forse aveva ragione Pier Paolo Pasolini in affabulazione quando diceva: «I padri vogliono far morire i loro figli perciò li mandano alla guerra».