Corriere Fiorentino

«Il mio grazie agli angeli senza ali dell’hospice»

- Valentina Paris

Caro direttore, in queste righe vorrei parlare dell’hospice di San Felice ad Ema, sulla collina di Poggio Imperiale davanti ad Arcetri, dove mio padre ha trascorso i suoi ultimi quindici giorni di vita. Ci tenevo a raccontare qualcosa su questa struttura, perché purtroppo sento sempre e solo episodi non belli che riguardano la sanità e avendo vissuto in prima persona un’esperienza positiva non mi pare giusto non spezzare invece una lancia a favore della «buona sanità». Babbo ha terminato la sua vita in questa struttura dove vengono ricoverati i malati terminali, che ricevono cure palliative contro il dolore trovando così un po’ sollievo. Il personale medico e infermieri­stico che lavora lì si occupa di tutti i malati, in modo amorevole e con grande disponibil­ità verso tutte le richieste che vengono fatte, riuscendo a rendere dignitoso il passaggio dalla vita alla morte. Le camere dell’hospice ricreano in modo molto attento l’ambiente familiare: tutti i ricoverati hanno a disposizio­ne una camera singola con servizio privato e con terrazzo che si affaccia sulle nostre belle colline. In ogni stanza c’è un divano letto, dando così alla famiglia la possibilit­à di passare la notte con il proprio caro. Oltre i medici e gli infermieri del servizio sanitario, sono sempre presenti i volontari dell’associazio­ne File, che offrono il loro supporto e la loro presenza ai malati e alle famiglie fin dal primo momento che si entra in struttura. I volontari sono gentili, disponibil­i e non invadenti: durante il periodo di degenza del babbo ho avuto modo di parlare con alcuni di loro, trovando nelle loro parole un po’ di conforto. Non è stato facile, per me, accettare il fatto che le cure che mio padre stava ricevendo non erano finalizzat­e a farlo guarire, ma bensì per accompagna­rlo «oltre». È stato un percorso doloroso, perché certi addii quando si verificano ti spezzano in due, anche quando te li aspetti e sai troppo bene che sono inevitabil­i. La mancanza non può essere letta, ma si può solo percepirla. Forse è per questo che sono a corto di parole, proprio io che ho sempre qualcosa da dire. Ma le parole le voglio trovare, per ringraziar­e per le cure amorevoli ed attente che il babbo ha ricevuto dall’inizio fino alla fine. Ho trovato lì non solo una grande profession­alità, ma anche tanta solidariet­à ed umanità che oltre che essere di aiuto a lui, hanno aiutato me a non sentirmi sola. Probabilme­nte tutto il personale impiegato lì non ha le ali, per non far capire che sono angeli. Nel vero senso della parola.

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