Instagram delle loro brame
Così, secondo l’esperto Paolo Landi, i politici (toscani e non) utilizzano i social network «Giani? Vuole apparire come chi lo segue. Ceccardi provinciale, Renzi e Nardella i più efficaci»
Nardella sta su Instagram «con intuito ed efficacia». Giani no, ne fa «un uso provinciale». Renzi è «uno dei pochi con approccio internazionale». Salvini e Meloni «molto male» e Ceccardi «non ha ben chiaro cosa vuole fare» a livello social. Ma Paolo Landi ne ha anche per il Papa e vede «un uso distorto di Instagram» da parte del suo staff. Mentre al contrario il Dalai Lama appare un postatore espertissimo.
Da esperto advisor di comunicazione per Benetton, Ovs, Upim, Coin, Bologna fiere, prima di Enrico Coveri, Vittorio Gassman e Luca Ronconi, il mugellano Paolo Landi — classe 1953, allievo di Adele Corradi, l’unica donna della scuola di don Milani a Barbiana — domani presenta alla Red Feltrinelli di Firenze il suo ultimo saggio Instagram al tramonto (La Nave di Teseo), intitolato così non perché Instagram sia «alla frutta» ma perché «ha un’impennata di “mi piace” la sera quando tutti postano tramonti». Una disamina di quello che è e che potrebbe essere il social network più «cool» di questi anni. E arriva a una conclusione tutt’altro che consolatoria: tutti pensano di usarlo, ma tutti vengono «usati» da Instagram che ci illude di «avere un contatto con il mondo quando in realtà è una trappola che ci fa credere che sia importante ogni istante della nostra vita». Landi sviscera il fenomeno sotto la lente del suo potenziale e dell’uso commerciale, nei vari sottoinsiemi della sua fenomenologia di massa: religione, cibo, moda, sesso, animali. Perfino la politica.
Paolo Landi, davvero non ha senso chiedersi la differenza tra chi lo usa bene e chi lo usa male, Instagram?
«Non c’è distinzione. Tutto diventa di cattivo gusto su Instagram e non c’è via di uscita».
Si parla di fotografie. Non dovrebbe avere a che fare con il concetto di bellezza?
«Instagram non uccide la bellezza ma ci convince che qualunque cosa sia bella. Ci fa credere che la foto del nostro tramonto o del gatto sia bella. Quando la bellezza è ovunque, non è da nessuna parte».
Esistono eccezioni alla regola che chi posta è un consumatore inconsapevole in una logica economica?
«No. Instagram si propone come un gioco ma non dice mai a che razza di gioco stiamo partecipando. Perché la merce di scambio siamo noi».
Il fatto che l’hashtag #firenze conti a oggi oltre 9 milioni di post, #milano 30 e #bologna solo 6 milioni, cosa ci dice della nostra città?
«Che ciò che conta è il numero dei turisti. Ma le milioni di fotografie su Firenze sono in realtà tutte identiche: alla fine hai in mente una sorta di marmellata in cui tutto sembra uguale. Il social ti dice cosa devi fotografare: la bistecca alla fiorentina se stai mangiando, la cupola del Brunelleschi se stai facendo il turista, ma ti dice anche quando fotografarli. Come nel caso del tramonto che dà il titolo al libro. Obbediamo a un diktat più forte di noi, un riflesso condizionato».
Lei ha studiato l’uso del social da parte dei politici: il profilo di Renzi le piace?
«Ha una certa cura estetica. Ha capito che non può prescinderne nel suo mestiere». Confrontato a Salvini?
«Il leader della Lega ha un modo molto meno estetizzante, più brusco, anche più vero se vogliamo, di apparire sui social. In Renzi c’è una certa cura registica. E un grande intento pedagogico in chiave politica. Si modella sulle modalità dei politici internazionali. Non si fa certo fotografare quando va dal barbiere».
Questo lo ha fatto Eugenio Giani, candidato alle regionali per il centrosinistra in Toscana. Alla foto dal barbiere ha commentato: «Tra i mille impegni e le fatiche della campagna elettorale, mi sono concesso un piccolo momento di tregua, andando dal mio parrucchiere di fiducia...»
«È un modo provinciale di usare i social. È un raccontare di stare vicini alla gente e apparire come loro. È un errore dal punto di vista del messaggio: in politici più consumati come Renzi non c’è questa indulgenza nell’apparire uguale agli altri. Ma il desiderio di raccontare le difficoltà della politica». Giani lo usa come Salvini? «In un’azienda normale chi cura i social di Salvini starebbe facendo già un altro mestiere. Uno dei problemi che l’età della comunicazione social porta con sé è che nessuno ha più paura di sembrare stupido. Tutti hanno paura di sembrare vecchi, ma non stupidi. Si è mai visto un politico che bacia un salame? Sì, lo si è visto: Salvini». E allora Giorgia Meloni? «Quel famoso video remixato “io sono Giorgia” è francamente qualcosa di cui vergognarsi. Rivendica la vuotaggine delle parole di quel comizio».
Susanna Ceccardi, volto della Lega in Toscana per eccellenza, neo mamma, ha il profilo di una qualsiasi neo mamma: ogni post è un quadretto familiare di felicità.
«Cosa c’entra questo con il suo ruolo politico? Penso che tutto questo sia di nuovo molto provinciale. Dilettantesco. Tipico di non ha ben chiaro cosa vuole fare, cosa dire e quale rappresentazione dare di sé sui social. Tra profili pubblici e privati sono in molti a essere confusi. Si figuri che inizialmente volevo dedicare un capitolo del libro sull’uso di Instagram che fanno le donne della Lega, poi ci ho ripensato». Perché?
«Sarei stato troppo duro». Lei è un follower del nostro sindaco Dario Nardella…
«Perché ha capito come si usa ed è molto bravo. Ho iniziato a seguirlo quando ha portato avanti la dinamica del “before and after”: fotografa il marciapiede in piazza dei Ciompi prima e dopo averlo rimesso a nuovo, o l’illuminazione in viale Talenti quando non funziona e poi di nuovo quando è aggiustata. È un metodo anglosassone che trovo fantastico. Per questo sono diventato suo follower. È molto efficace».
Usare Instagram sembrava una cosa semplice prima di questa conversazione. E prima di aver letto il suo libro. E invece…
«La morale della favola è che c’è troppa confusione sull’uso e le possibilità che offrono i social. In politica soprattutto».