Addio Roberta, signora dei teatri: «Nel mio musical c’è la sua storia»
L’omaggio del regista Martinettti alla Betti: salvò il Politeama di Prato con una raccolta fondi
Fino a due anni fa non avevo mai sentito parlare di lei, poi qualcuno mi segnalò il bel libro Politeama Pratese di Olga Mugnaini e Manuela Critelli e pensai che quello che Roberta Betti aveva fatto fosse importante, non solo per la sua città, Prato, ma che anche per la cultura nazionale.
Salvare uno storico teatro dei primi del novecento con 1000 posti a sedere, ricorrendo quasi esclusivamente ai contributi di comuni cittadini che ne diventavano tutti insieme proprietari e ne acquistavano uno o più mattoni a testa, non era qualcosa che riguardava solo i pratesi. Oggi lo chiameremmo crowdfunding, invece si trattò di passione vera: civile, sociale, culturale. Roberta Betti, riuscì a risvegliare le coscienze dei pratesi e degli italiani, in quegli anni, inchiodati davanti al primo talk show nazionali: il Maurizio Costanzo Show.
Ne divenne per alcune puntate la protagonista e da lì lanciò la sua sfida a chi voleva trasformare il secondo teatro di Prato in un garage. Per me, ma anche per quelli ai quali ne parlavo, soprattutto gli amici francesi, era una storia che andava raccontata. Dovevano conoscerla innanzitutto i giovani, che devono sapere che è esistita un’epoca nella quale a sostenere cultura, arte e spettacolo non c’erano gli sponsor, ma era la comunità.
Quegli stessi giovani che devono ricordare chi è stata questa donna unica, dal carattere forte, moderna, che fronteggiò i vertici della Consob, scettici sul fatto che lei, venuta da popolo, riuscisse a trovare i soldi per ricomprare lo storico immobile. Convinse anche tanti artisti come Philippe Glass, Roberto Bolle, Massimo Ranieri, Riccardo Muti, Simona Marchini, ma anche Carlo Conti, Panariello e Pieraccioni ad aiutarla e dei quali guadagnò fiducia e amicizia incondizionate. Quando la chiamai per parlarle del progetto, non la prese troppo sul serio. Credo che inizialmente abbia pensato che avessi qualche doppio fine, come vendergli un’aspirapolvere o una polizza assicurativa. Poi acconsentì a incontrarmi e pensò di cavarsela con un’intervista di qualche minuto. Le spiegai invece che volevo raccontare la sua storia con un musical, visto che tra le varie attività create in quel teatro che lei ancora presiedeva, c’erano anche i corsi della scuola di Musical Arteinscena. La storia vera e quella teatrale si sarebbero alternate e intrecciate.
Due giovani allieve della scuola dovevano pensare al soggetto per il saggio di fine anno e essendo venute a conoscenza della storia di Roberta, la andarono a trovare per farsela raccontare. Quel racconto è stato trasformato da loro e dai loro compagni in un musical ambientato nella Prato di oggi, dove una giovane Roberta, alter ego della Betti, si impegna per evitare la chiusura del teatro dove oggi fa le pulizie per mantenersi, ma nel quale sogna di esibirsi. La sua ritrosia, che l’aveva tenuta sempre dietro le quinte, le impediva di accettare di essere la protagonista di un film e fino alla fine cercò di scoraggiarmi. Due settimane fa, infine, la convinsi a organizzare un’esibizione delle due allieve con una proiezione di alcune immagini del documentario. Furono invitati tutti i consiglieri del Cda del Politeama e la sua amica e mecenate della scuola Patrizia Pape. Lei non venne, faceva troppo freddo.
Alla fine dell’esibizione parlò con tutti al telefono. A me fece promettere che accompagnassi le immagini finali del documentario, con le note della canzone Se fosse che Prato la un ci fosse, da lei scritta. Aveva superato ogni ritrosia e finalmente sposava il mio progetto: La donna che riapriva i teatri.
*L’autore è regista e ha fondato e dirige France Odeon