Corriere Fiorentino

Ristoranti deserti, pronto moda svuotati A Chinatown l’allarme batte il mito del lavoro

- Di Giulio Gori

In via Giuseppe Di Vittorio, nel cuore dell’Osmannoro, davanti ai cinque furgoni del mercato cinese di frutta e verdura, non c’è quasi nessuno. E a mezzogiorn­o, quando i banchi vengono chiusi, gli ortaggi sono ancora tutti nelle cassette. Non ci sono neppure le solite foglie di insalata o di cavolo abbandonat­e per terra, la strada è pulita. Segnali dell’apprension­e. E anche se per non affrontare la paura del virus molti dicono, o fingono, di non parlare italiano, c’è chi ha voglia di raccontare: «Se il virus fa paura? Eccome, qui c’è poca gente, di solito è pieno di clienti italiani e cinesi, sono spariti quasi tutti — dice un ragazzo — Ma peggio va ai ristoranti cinesi, sono vuoti».

Nei pronto moda di via del Ponte a Giogoli ci sono molte postazioni chiuse, in molte altre si lavora con la mascherina al volto. C’è un italiano a comprare borsette da rivendere al mercato delle Cascine, l’unico. Fuori, un gruppo di sei senegalesi, dei quali solo uno ha sentito parlare del virus, ciondolano senza far nulla: «Oggi lavoro cinese poco buono», dice uno di loro per spiegare che per chi lavora alla giornata non è un periodo propizio. E alla pescheria La Luna, dove non ci sono più le solite valanghe di cassette di teste di pesce sfilettato appoggiate fuori dalla soglia, non passa un solo cliente: «Per colpa del virus va malissimo», racconta il titolare.

Il mito del lavorare duro, lavorare sempre, per una volta viene meno di fronte all’esigenza della sicurezza di tutti: «Da qualche giorno chi rientra dalla Cina resta a casa — spiega il giovane incontrato nel pronto moda — Lo fanno tutti, 15 giorni senza uscire». È un’auto-quarantena epocale. Dallo scenario quasi lunare dell’Osmannoro alla Chinatown di Prato, d’impatto la differenza sembra tanta: non c’è il pienone ma non c’è affatto l’aria del coprifuoco. E le automobili si incolonnan­o di continuo. Ma a ben vedere i segnali della paura ci sono: le code si formano all’entrata e all’uscita di quei supermerca­ti che hanno il parcheggio, meglio andare a fare la spesa in auto per evitare di stare troppo a contatto con troppe persone. I minimarket senza parcheggio sono vuoti. Un negozio su tre è chiuso, forse di più, mentre pasticceri­e, ristoranti, rosticceri­e cinesi hanno i tavoli vuoti. Persino da Ravioli Liu, tempio della cucina cinese a Prato, a pranzo ci sono solo otto clienti su quasi cento posti a sedere. Lo scenario delle poltrone viola, vuote, attorno ai tavoli roton

Mercati vuoti, tante serrande abbassate e 15 giorni di quarantena auto imposta per chi torna dall’Oriente

di in cui non si incrociano più le bacchette dei commensali, è spettrale. Ad avere la fila davanti alla porta è un’agenzia viaggi di via Pistoiese. Lì, i due operatori, rigorosame­nte con la mascherina, faticano a spiegare ai cinesi che hanno già comprato un volo per andare in vacanza in patria che non hanno la benché minima idea se a febbraio, o a marzo, si potrà volare. «L’unica cosa che possiamo dire è “stiamo a vedere”. Ora gli aerei sono tutti fermi, ma speriamo che questa situazione finisca presto, sennò sarà il disastro» spiega uno degli agenti di viaggio, mentre un cliente ci racconta di essere molto preoccupat­o per i soldi già spesi per un volo prenotato per metà febbraio per tutta la famiglia. In via Pistoiese, tra cinesi che puliscono e vendono verdure esotiche su cassette e scatoloni appoggiati sui marciapied­i, qua e là spuntano anche attività italiane. C’è il benzinaio, che ha il cartello di divieto di sosta tradotto in cinese, c’è anche alla farmacia del dottor Gennaro Brandi, che strabocca di clienti. In magazzino gli è arrivato da pochi minuti un carico di mascherine per il volto, il farmacista le ha ancora accatastat­e sulla scrivania: «La verità è che i cinesi qui sono molto preoccupat­i, ma ancora di più per i parenti che vivono in Cina — spiega — Le mascherine? I cinesi le usano da sempre, per un raffreddor­e o contro lo smog. Qui ne vendiamo a centinaia al giorno perché qualcuno ha paura del virus, ma il grosso di chi le compra le spedisce in Cina. Vengono persino le associazio­ni per comprarle e spedirle laggiù».

Dall’altra parte di Prato, al Macrolotto, nel cuore dell’economia tessile cinese, le auto, anzi i Suv di piccoli e grandi imprendito­ri vanno su e giù tra i pronto moda in un viavai continuo. Ma dentro i negozi non c’è nessuno: «Clienti tutto bene, clienti uguale», azzarda a dire una commessa dall’italiano incerto. Ma se si prova il trabocchet­to di chiederle se ci siano più clienti rossi o blu, la risposta rivela che è stata istruita a dovere in caso di domande indiscrete: «Clienti tutto bene, clienti uguale...».

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 ??  ?? A sinistra, il mercato cinese dell’ortofrutta all’Osmannoro. A destra, il ristorante Ravioli Liu di Prato all’ora di pranzo. Nell’altra pagina, un operaio con la mascherina in pronto moda all’Osmannoro
A sinistra, il mercato cinese dell’ortofrutta all’Osmannoro. A destra, il ristorante Ravioli Liu di Prato all’ora di pranzo. Nell’altra pagina, un operaio con la mascherina in pronto moda all’Osmannoro
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