L’oro di Cathy Freeman e la bandiera aborigena
L’attrice fiorentina Daniela Morozzi e la gara vinta da Freeman, atleta aborigena, ai Giochi di Sidney: «Il suo è un esempio di riscatto»
L’illusione. La speranza. Il trionfo. E poi il tonfo di disillusione. Un’altalena di emozioni: la ricorda così, l’alba del millennio, Daniela Morozzi. E non potrebbe essere altrimenti: ragazza romantica, passionale, che si lascia trascinare dalle emozioni. È fatta così, è un’attrice che ha fatto grande la sua carriera mettendo la grinta nel sorriso e il sorriso sempre in ogni sfida, a partire da Distretto di polizia. La sua «partita del cuore» si svolge il 25 settembre del 2000 — Daniela ha 32 anni — il giorno in cui l’atleta aborigena australiana Cathy Freeman vince l’oro olimpico a casa sua, Sydney, nei 400 metri piani, in uno stadio olimpico mai così pieno nella storia del continente. È la medaglia d’oro numero cento nella storia dell’Australia ma la prima di un’atleta appartenente a quell’antica cultura che in Australia c’è nata all’alba dei tempi.
Ai Giochi del Commonwealth del 1994 Cathy Freeman nel giro di pista dopo la vittoria aveva già sventolato la bandiera degli aborigeni assieme a quella australiana, tra le polemiche. Sei anni dopo, lo rifà. Aveva conquistato l’argento ad Atlanta nel 1996, due mondiali tra il 1997 e il 1999. Le mancava solo l’oro. Il destino vuole che lo raggiunga proprio nella sua terra ed è il primo tedoforo di sempre a diventare campione olimpico nella stessa edizione.
«Il 2000 è l’anno più importante della mia vita — racconta l’attrice fiorentina, scoperta da Alessandro Benvenuti in Benvenuti in Casa Gori e ora uno dei volti più noti della televisione — ho girato la prima stagione di Distretto di polizia che ha occupato 10 anni ininterrotti della mia vita, ero reduce da un film importante come Baci e abbracci con Virzì. «Per chi come me non aveva mai fatto niente in tv, non ci sono parole, è qualcosa di detonante, soprattutto se una fiction ha un successo strepitoso come quella». Tra gli editor di Mediaset c’era anche Marcello Fois con il quale è iniziata allora quella che Daniela definisce «la seconda fase della mia vita». Lei viene dal mondo dell’improvvisazione teatrale, «ero tornata a vivere a Firenze dopo anni a Milano, anni fortunati, quelli in cui inizi a dare delle svolte alla carriera e alla tua vita».
Mentre Daniela si trova a casa, in famiglia, per guardare le Olimpiadi, la prima stagione di Distretto di polizia non è ancora andata in onda. Questione di tre settimane. Mai avrebbe immaginato che quella serie l’avrebbe trasformata in un personaggio nazionale. «Abitavo a Scandicci ma il rito delle Olimpiadi lo vivevo con gli amici e la famiglia a casa dei miei alle Cure». A casa dei genitori c’è anche la sorella, il compagno, vari amici di famiglia, «un gruppetto nutrito, in un palazzo abitato tutto da zii e cugini a ogni piano, una piccola comunità di Morozzi che si riunisce davanti alla tv per l’evento. Si parlava moltissimo di politica a casa, e di Olimpiadi. Ancora oggi ci ritroviamo in campagna tutti insieme per guardarle». Tre settimane dopo «la stessa comunità si è ritrovata nello stesso salotto per vedere la prima puntata di Distretto di Polizia».
Non aveva mai visto correre Cathy Freeman ma «la conoscevo perché quelle olimpiadi erano già molto politicizzate, e lei era l’ultima dei tedofori, era sempre sui giornali». E poi, Daniela Morozzi, è una femminista da battaglia da sempre: «C’era questa grande cosa nell’aria, una donna, un’aborigena, tutta vestita con una tuta incredibile che le copriva anche la testa. Ricordo un pezzo di Emanuela Audisio in cui la paragona allo spermatozoo nel film di Woody Allen Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso: lei corre, le batte tutte le avversarie, anche la giamaicana Lorraine Graham che era la numero uno». Quando l’atleta aborigena vince i 400 metri «c’è un momento meraviglioso e potente che non riesco a togliermi dalla mente: si inginocchia a terra come per capire cosa avesse davvero realizzato, ti dà la sensazione di aver dato talmente tutto da non rendersene conto».
La Freeman non rappresentava solo se stessa «ma il popolo su cui è stato perpetrato uno dei più grossi genocidi della storia, che li ha ridotti da 4 milioni a poche migliaia, e viene da una famiglia povera. Arrivata al traguardo si toglie le scarpe e inizia a correre avvolta dalle bandiere australiana e aborigena: infrange il regolamento, fu come Smith e Carlos col pugno alzato a Messico ’68. Ha vinto con loro».
È a quel punto che Daniela pensa: «Lo voglio spaccare anch’io il mondo». Capisce che «stava accadendo qualcosa che solo lo sport è capace di realizzare: per me e mia sorella è stato un momento talmente toccante che se ci penso ora, 20 anni dopo, mi porta a fare riflessioni che sul momento non potevo sospettare: stavamo scavallando il millennio, la mia carriera sarebbe cambiata per sempre, vedo lei, un’aborigena, la prima a vincere l’oro, trovo un’empatia personale immediata, come se un nuovo inizio, per me, per tutti, per le donne, per i popoli che soffrono, stesse per aprirsi la strada, e in parte credo sia accaduto».
Questa donna e atleta l’ha accompagnata anche a teatro: «Il primo spettacolo che ho portato in scena dopo Distretto di polizia, l’ho chiamato Articolo Femminile e ancora lo porto in tournée. Parla di donne che ce l’hanno fatta. C’è Rosa Parks, una donna immigrata che salva un bambino in mare, le Madres de Plaza de Mayo, e poi ovviamente Cathy che mi ha fatto comprendere la forza che lo sport può infondere nella vita delle persone, la sua capacità di parlare a tutti». Portare sul palco il suo ritratto «di rappresentante degli ultimi che possono vincere? Non so cosa ci sia di più potente e importante». È come se Cathy Freeman «avesse dato l’avvio alla mia carriera di attrice» e «trovo che il suo esempio sia una finestra sulle possibilità di riscatto».
Daniela Morozzi si è sempre occupata di politica anche nel lavoro e «fare fiction mi ha permesso di unire alla visibilità che nel tempo la tv ti dà (per Distretto di polizia si parla di 12-13 milioni di ascolto, come il Festival di Sanremo) alla voglia di portare avanti alcune battaglie: nella nostra serie abbiamo il primo gay dichiarato della polizia, una protagonista commissario donna, Isabella Ferrari, e in tutta questa rivoluzione personale e non, si inserisce questo momento sportivo che amplifica la carica». Ecco, per tutto questo Daniela prova «la sensazione che scavallando il millennio il mondo potesse portarci qualcosa di nuovo». Poi però, un anno esatto dopo, «vedo cadere le Torri Gemelle e mi rendo conto di essermi illusa anche quella volta... eh no — mi sono detta — anche questo secolo ce lo siamo giocato».
❞ Ho trovato un’empatia personale immediata, come se un nuovo inizio, per tutti, per le donne, per i popoli che soffrono, stesse per aprirsi