Corriere Fiorentino

E il boss dava ordini dalla casa di Campi

Il rampollo del boss condannato per i Georgofili guidava la famiglia da qui

- Di Antonella Mollica

Gli imprendito­ri palermitan­i arrestati avevano messo a disposizio­ne la loro abitazione di Campi Bisenzio per far scontare i domiciliar­i a Pietro Tagliavia, il figlio del boss condannato per la strage dei Georgofili, e gli avevano dato un cellulare per continuare a occuparsi dei suoi affari.

Il rampollo dei Tagliavia, la storica famiglia di mafia di Palermo, era sbarcato in Toscana dopo un arresto. Pietro Tagliavia, 42 anni, oggi detenuto in Sardegna, cinque anni fa era finito nel carcere di alta sicurezza di Prato grazie a un’inchiesta di Reggio Calabria su mafia e ‘ndrangheta unite da un grosso affare di droga. Fino ad allora era sempre stato a Palermo a reggere il mandamento di Brancaccio che il padre, don Ciccio, gli aveva lasciato in eredità dopo l’arresto.

Perché Pietro, condannato definitiva­mente per associazio­ne mafiosa, è figlio e nipote d’arte. Il nonno, che aveva il suo stesso nome, era il «cassiere» di Brancaccio, mentre il padre Francesco, oggi 66 anni, era il boss della famiglia mafiosa di Corso dei mille: arrestato il 22 maggio 1993 — cinque giorni prima dell’attentato in via dei Georgofili, otto giorni dopo la strage di via Fauro a Roma — venne condannato definitiva­mente all’ergastolo sia per la strage di Firenze che per la strage di via D’Amelio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Alcuni pentiti parlano di lui come uno dei boss più spietati di Cosa Nostra. Si era guadagnato il soprannome di «Ciccio Taglia» per la sua attività principale, le estorsioni. Quando finisce in carcere le attività del clan passano nelle mani del figlio. E Pietro inizia presto a seguire le orme paterne. Dopo otto anni di carcere nel 2011 viene scarcerato e riprende in mano la gestione del clan.

L’inchiesta di Palermo speculare a quella di Firenze — sulle nuove attività di riciclaggi­o del clan di Corso dei Mille, attraverso un giro di fatture false, aziende fantasma ed eserciti di prestanome — lo raggiunger­à nel luglio 2017 a Capraia e Limite, nell’Empolese, dove Pietro Tagliavia aveva preso casa insieme alla madre. Tre mesi prima era uscito dal carcere di Prato e era andato a scontare la pena ai domiciliar­i in un appartamen­to di Campi Bisenzio. Oggi si scopre che quell’appartamen­to era stato messo a disposizio­ne dalla famiglia palermitan­a dei Rotolo, padre e due figli, adesso tutti arrestati.

L’inchiesta della direzione antimafia di Firenze rivela che tutti «lavoravano» per far arrivare il denaro al clan di Corso dei Mille. E Da Campi Tagliavia continuava a gestire i suoi «affari». In quell’abitazione c’era una continua procession­e di gente che arrivava dalla Sicilia per andare a omaggiarlo. Gli avevano messo a disposizio­ne un telefono cellulare con cui lui, nonostante fosse ai domiciliar­i, poteva continuare ad avere rapporti con la Sicilia e in particolar­e con Francesco Paolo Clemente, l’imprendito­re palermitan­o che negli ultimi anni ha fatto fortuna con il business delle pedane di legno, anche lui finito in carcere nel 2017. Nessun dubbio, ha scritto il gip nell’ordinanza di custodia cautelare, che il denaro provenient­e dal sistema-Clemente andasse a sovvenzion­are i Tagliavia. «Vedi se i soldi sono pronti che a me per il fine settimana mi servono» ordina Clemente al padre Leonardo. E i 44 mila euro in contanti prelevati dalla Pallets Rotolo di Campi, via furgone, arrivavano in Sicilia. Soldi che servivano a finanziare la famiglia mafiosa, i suoi traffici e anche le famiglie dei carcerati.

Coperture

Nonostante fosse ai domiciliar­i aveva a disposizio­ne un cellulare con il quale continuava a tenere i contatti con i suoi in Sicilia

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Il boss Francesco Tagliavia
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Il figlio Pietro Tagliavia

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