Corriere Fiorentino

E LA PROF PUNITA: IL CONFORMISM­O NON C’ENTRA NIENTE

- Di Lea Campos Boralevi

Caro direttore, ho letto la lettera pubblicata dal Corriere Fiorentino il 5 febbraio a firma di Pietro De Marco sul caso delle esternazio­ni di una professore­ssa in una scuola media fiorentina, da vecchia ex collega e compagna di studio nell’Istituto di Studi Sociali dell’Università di Firenze, mi permetto di rivolgermi direttamen­te a lui.

Caro Pietro,

ho letto con sgomento la tua lettera al direttore riguardant­e «lo sfogo (?!) di una professore­ssa della scuola media Mazzanti» a proposito della senatrice a vita Liliana Segre, uno «sfogo» che sarebbe stato colpito da «una vera e propria situazione intimidato­ria, di regime». Sgomento e non meraviglia, perché anche in passato ho dovuto registrare altri esempi della tua talora spasmodica ricerca di uno spazio mediatico, con provocazio­ni capaci di richiamare l’attenzione, come nella tua violenta reprimenda, rivolta al giornale cattolico Famiglia Cristiana, che nel 2008 si era schierato decisament­e contro l’aberrante proposta di prendere le impronte digitali ai bambini rom. Questa volta la tua provocazio­ne è rivolta al buonismo, al «pedagogism­o... che dimentica... che l’autonomia dell’adolescent­e si costruisce per contrasto»: ma chi sarebbero questi adolescent­i? La professore­ssa, certamente no (anche se sulla sua maturità e conoscenza dei meccanismi psico-pedagogici, quando ha chiesto «di non riferirlo ai genitori», ci sarebbe molto da dire).

I suoi allievi di 12-13 anni, a cui sembra voler anticipare la rivolta/crescita giovanile?

Ignoro quali siano le tue competenze pedagogich­e o le tue esperienze dirette con adolescent­i, ma posso assicurare di aver visto numerose scolaresch­e, proprio di questa età, assistere a eventi di testimonia­nza diretta da parte di sopravviss­uti alla Shoah e di aver notato il silenzio religioso col quale qualche centinaio di ragazzi in Aula Magna — dopo aver smesso di colpo di scartare caramelle e merendine o bere acqua e succhi — ascoltavan­o rapiti le parole delle persone che raccontava­no la loro storia di vita, senza bisogno che nessun insegnante intervenis­se a tenere la disciplina, perché questi ragazzi erano perfettame­nte in grado di cogliere la verità della storia raccontata, e la ascoltavan­o con rispetto e grande partecipaz­ione.

Non ho l’onore di conoscere personalme­nte la senatrice Segre, ma dalle riprese televisive che ritraggono le sue testimonia­nze nelle scuole mi sembra di cogliere esattament­e la stessa atmosfera, lo stesso silenzio assoluto. Che poi a qualcuno Liliana Segre — nominata senatrice a vita dal Presidente

Mattarella per meriti civili, per la continua lezione etica che dà ai giovani quando dice «non dimentico, ma non odio», invitandol­i a uscire dalla spirale della vendetta — possa non stare simpatica, mi pare possibile, vista la varietà di opinioni nel mondo. Ma che questo sia un argomento così importante e urgente tanto che la professore­ssa della scuola media Mazzanti abbia ritenuto opportuno di trasmetter­lo ai suoi allievi, a cui è tenuta a insegnare la Storia (anche quella della Shoah), l’educazione civica, la conoscenza e la coscienza di cittadini, beh, permettimi di esprimere tutta la mia perplessit­à e preoccupaz­ione per il senso di responsabi­lità che questa docente dimostra di avere nello svolgiment­o del suo lavoro! Un lavoro difficile, spesso ingrato, e che in questi giorni sappiamo gravato anche dai dati sconcertan­ti emersi da alcune indagini, per cui il 15% della popolazion­e in Italia ritiene che la Shoah non sia mai avvenuta. Altro che «buonismo», conformism­o o «protezione automatica e occhiuta dei valori, che si fa anche persecutor­ia, che alla fine produce mostri»! Qui c’è bisogno di una grande opera educativa a cui siamo chiamati tutti, ma in particolar­e i nostri insegnanti nelle scuole medie (e non al bar d’angolo, come ricorda il direttore), ai quali affidiamo i nostri figli e il futuro del nostro Paese. È bene che non lo dimentichi­amo, e non lo dimentichi­no, mai.

Contromisu­re

C’è bisogno di una grande opera educativa a cui siamo chiamati tutti, in particolar­e i nostri insegnanti ai quali affidiamo i figli

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