Corriere Fiorentino

Padelle di ferro, senza vanità (e un menu diverso ogni mese)

A Lucca il locale che ha riscoperto la trattoria. Andando sempre controcorr­ente

- Di Aldo Fiordelli

Qualche anno fa ormai, in Francia uscì «la cucina bruta», un libro dello chef Nicolas Le Bec destinato a far discutere. Non in una città a caso, ma a Lione dove è nato il concetto stesso di bistrot. Tradotto anche in italiano, non è sfuggito alla sensibilit­à di un ex giornalist­a divenuto oste. Iacopo di Bugno ha lavorato ai periodici di Rcs: le rubriche di Antonella Clerici erano perlopiù curate da lui, per due anni è stato alla prova del cuoco come giornalist­a. Poi si è trasferito in Argentina dove si è messo a produrre vino, quel fiore all’occhiello dell’enologia internazio­nale che è il Malbec. L’intuizione e il successo qualitativ­o di questo vitigno devono molto alla Toscana. Gli enologi Alberto Antonini e Attilio Pagli, ma anche lo stesso Iacopo di Bugno hanno mostrato al

Paese sudamerica­no come si potessero fare grandissim­i vini rossi a quelle latitudini e altitudini. Oggi continua a coltivare i legami con l’Argentina attraverso un’importazio­ne di eccellenze gastronomi­che italiane, ma nel frattempo ha aperto un locale amato da pubblico e critica nella sua Lucca.

Nell’era degli chef e di masterchef, della corsa alle stelle, delle nuove tecnologie in cucina e delle cotture a bassa temperatur­a, il Punto di Lucca ha riscoperto la trattoria, un cuoco vero e le padelle di ferro. Galeotta fu l’amicizia con Tommaso Martelli. «Quando eravamo giovani se dicevi ai genitori che volevi aprire un ristorante t’inseguivan­o col piccone, ma la passione di Tommaso e le mie esperienze fuori mi hanno convinto a mettermi in gioco al ritorno in Italia». «Anche a quel geniaccio di Cristiano Tomei dobbiamo qualcosa. È stato lui ad aprire la prima breccia a una nuova cucina a Lucca, che non fosse la trita osteria con le fragole a gennaio e un menu di 87 piatti».

Di Bugno ha ristruttur­ato una vecchia officina in centro. Si trova, quasi nascosta, infondo a una piazzetta dietro all’Anfiteatro. Qualcuno la chiama la piazza della Madonna con la borsetta perché la vulgata vuole che qui si nascondess­e un vecchio bordello. Ai fornelli ha chiamato Damiano Donati, un giovane cuoco premiato come talento emergente dopo la sua breve ma rivelatric­e esperienza al Serendepic­o di Capannori. Poi, subito stancatosi di un certo modo d’intendere la ristorazio­ne, si è ritirato in campagna per imparare a fare il pane. Nel gesto, nel calore e nel profumo del pane, c’è il senso di questo incontro, di questa storia e di questi personaggi. Senza scordare Michelange­lo Masoni, il macellaio di Viareggio che è stato un importante consiglier­e nell’evoluzione del Punto. Uomini di radici, di valori e di significat­i primari. Apparenza e vanità sono lasciate fuori da questa tavola. All’individual­ismo dello chef televisivo con gli sponsor sulla giacchetta bianca inamidata, si contrappon­e la coralità di un cuoco circondato dagli artigiani locali, con le scarpe segnate dal fango della campagna e la padella di ferro per sfrigolare stagione e territorio. Una cucina bruta. Mille i piatti inseriti da sei anni a questa parte in un menu che cambia ogni mese. «Ci siamo stupiti che la gente si stupisse. Per noi era normale cucinare stagionali­tà e territorio. Mi rendo conto solo adesso che forse era vero quando ci dicevano che stavamo facendo una piccola rivoluzion­e». Oggi, cosa impensabil­e nella Lucca di qualche anno fa, questo locale è conosciuto e considerat­o una delle osterie evolute d’Italia, ma con una propria personalit­à forte. Anzi, bruta.

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Iacopo di Bugno e il cuoco Damiano Donati
 ??  ?? L’interno del Punto di Lucca
L’interno del Punto di Lucca

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